giovedì, agosto 31, 2006

Socialismo? Parliamo invece di capitalismo

LA DISCUSSIONE
Dopo 30 anni di neoliberismo, adesso una "sterzata" a sinistra
di ALAIN TOURAINE
Socialismo è una parola confusa, usata dalle persone più diverse per esprimere le opinioni più varie. Lasciamolo dunque da parte. In compenso, parlare contro il capitalismo non soltanto è più che sensato, ma è anche molto più di attualità di quanto la maggior parte delle persone non creda. Ciò che definisce il capitalismo è l'eliminazione dei controlli sociali, politici o di altro genere che limitano gli attori economici. Quando sono liberi, vale a dire non controllati, questi attori esercitano un autentico potere sulle altre istituzioni, che devono sempre, per parte loro, tener conto degli interessi dei dirigenti dell'economia. Il riferimento a questo potere fa parte del concetto stesso di capitalismo. Questa libertà, questa stessa onnipotenza dei dirigenti dell'economia è una componente necessaria della modernizzazione. Non ci sono mai stati grandi sviluppi economici senza una fase di capitalismo che possiamo addirittura definire "selvaggio". La Gran Bretagna e poi gli Stati Uniti ne sono stati i grandi esempi. Oggi è la Cina a essere il Paese più capitalistico del mondo. Ma la modernizzazione esige anche che dopo una fase di libertà estrema delle forze economiche dominanti arrivi una fase opposta dove compaiono nuovi interventi pubblici promossi da sindacati e partiti che vogliono soprattutto una redistribuzione del reddito. Questa alternanza rappresenta la formula di base dello sviluppo economico. Non c'è sviluppo senza capitalismo e senza anticapitalismo. Ma molti preferiscono, alla successione di queste due fasi, un sistema misto permanente che combini accumulazione e redistribuzione. È questo sovente il caso degli europei e, in particolare, dei tedeschi, che hanno appena votato per un'economia aperta e competitiva, ma anche per il mantenimento della Sozialmarktwirtschaft (economia sociale di mercato), che è una delle forme principali di quello che Delors ha definito "il modello sociale europeo.
Il problema reale di fronte a cui ci troviamo è di scegliere, non tra capitalismo e socialismo, ma tra il sistema dell'alternanza e quello della combinazione permanente di un'economia aperta e di una forte azione di redistribuzione. Gli avversari dell'alternanza temono che questo sistema rafforzi le tensioni e i conflitti sociali. I nemici dei sistemi misti temono che la redistribuzione non vada a beneficio dei poveri ma di determinati settori delle classi medie, in particolare nel settore pubblico. I sostenitori del capitalismo, da parte loro, accusano i loro avversari di entrambi i campi di spingere talmente in là il Welfare State da strozzare la crescita e creare un deficit di bilancio che può essere colmato solo facendo crescere il debito pubblico, quindi attraverso un prelievo anticipato sul reddito della generazione successiva. Quale posizione bisogna adottare oggi? La risposta deve tener conto della nostra situazione storica. Noi viviamo, dall'inizio degli anni 70, in una fase che viene definita neoliberista, e che ha preso il posto dell'economia "amministrata" che dominava la maggior parte del mondo all'indomani della Seconda guerra mondiale. Questo successo del capitalismo è stato amplificato dalla globalizzazione che ha accresciuto la libertà delle imprese, soprattutto di quelle finanziarie, rispetto agli Stati e soprattutto ai sindacati, che in molti Paesi stanno perdendo di importanza. Oggi, l'opinione pubblica tende a chiedere un riequilibrio in favore dei salariati e delle spese sociali. È sbigottita dalle notizie degli scandali che sono avvenuti nelle grandi imprese, e dalla pioggia d'oro che ricevono molti manager. I lavoratori si indignano per il fatto che le loro imprese vengano delocalizzate anche quando sono in attivo e realizzano profitti. I movimenti no global, meglio definibili come altermondialisti, organizzano forum e grandi raduni in tutte le parti del mondo. Ad attenuare questa pressione gioca il fatto che gli eventi che dominano l'attualità non sono di natura economica, ma religiosa e militare. Malgrado questi ostacoli esiste, in particolare in Europa, un'evoluzione dell'opinione pubblica a favore di nuovi interventi dello Stato, e soprattutto contro la creazione di un'Europa alla Thatcher. L'opinione pubblica non vuole che la riforma necessaria del servizio sanitario e delle pensioni si traduca in una limitazione delle prestazioni. Formulata in questi termini, la risposta alla domanda che abbiamo posto appare evidente: l'opinione pubblica si aspetta dai dirigenti che mettano dei limiti all'onnipotenza dei mercati e delle imprese. Chiede una "sterzata" a sinistra. Ma una simile risposta non può bastare, perché non dice come, sotto la pressione di quali forze, si possa ottenere un cambiamento di direzione. I sistemi di previdenza sociale, creati all'indomani dell'ultima guerra, sono stati introdotti su iniziativa dei sindacati, e per proteggere soprattutto i lavoratori contro i rischi che li minacciano: incidenti, disoccupazione, malattia, vecchiaia. Chi può interpretare oggi quel ruolo motore che svolsero i sindacati mezzo secolo fa? Chi può dirigere una lotta per un nuovo sistema di protezione sociale che non riguardi soltanto i lavoratori, che protegga tutti contro nuovi rischi e nuove disuguaglianze: dipendenza senile, malattie mentali, conflitti tra minoranze, conseguenze della delocalizzazione, disuguaglianza di possibilità alla scuola, ecc. Una simile pressione, che i partiti e i sindacati sono incapaci di esercitare, può essere esercitata da movimenti di base, associazioni, ong, in parole povere da quella che viene definita la società civile. Ma oggi non assistiamo a un rafforzamento di questo tipo di azioni di base. Stanno anzi perdendo forza in certi settori. Quantomeno nel caso italiano, è al governo che bisogna guardare. Malgrado la sua risicata vittoria elettorale, gode già di una forte riserva di sostegno nell'opinione pubblica, e questo sostegno aumenta. È probabilmente una tendenza generale nel mondo attuale, questa di limitare il sistema neoliberista e di incaricare il potere politico di difendere meglio la popolazione non privilegiata. Dopo trent'anni di supremazia nel dopoguerra, l'economia amministrata è stata sostituita dal neoliberismo. Trent'anni sono passati. Ma non è il momento di far pendere la bilancia nell'altra direzione? (Traduzione di Fabio Galimberti) (31 agosto 2006)

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