venerdì, settembre 29, 2006

“Referendum: verso una politica finalmente bipolare


“Referendum: verso una politica finalmente bipolare”

Giovanni Guzzettacon Mauro Buonocore

Sulla riforma del sistema elettorale i partiti tentennano, tergiversano, esitano. E allora nasce la proposta per un referendum abrogativo della legge attuale. Obiettivo principale: limitare la frammentazione del sistema politico, garantire un bipolarismo più efficace e delineato, ripristinare i collegi uninominali e fare così in modo che le scelte degli elettori pesino sul risultato finale più delle decisioni dei partiti.
La proposta è stata lanciata dal prof. Giovanni Guzzetta, costituzionalista dell’Università di Roma Tor Vergata e già ideatore del referendum che nel 1993 ha cambiato il volto del sistema politico italiano. Guzzetta l’ha presentata pubblicamente il 22 settembre a più di cento costituzionalisti riuniti nella sala del Cenacolo a Roma.L’obbiettivo dell’iniziativa è quello di creare le condizioni istituzionali che favoriscano “il dispiegarsi di un orizzonte bipartitico anche in Italia”, facilitando così i processi di aggregazione politica in atto, come il Partito Democratico.
Benissimo, ma che c’entra la formazione di una nuovo partito che riunisca le forze del centro sinistra con la legge elettorale? Non potrebbe nascere indipendentemente dalla scelta tra proporzionale e maggioritario?“Il sistema proporzionale non impedisce di per sé la costruzione di un’ampia forza riformista nel centrosinistra – spiega Giovanni Guzzetta che sta in questi giorni riunendo intorno a sé personalità pubbliche ed esponenti della società civile per dar vita alla pattuglia referendaria – tant’è vero che alle ultime elezioni laddove l’Ulivo si è presentato con una sola lista ha raggiunto un ottimo risultato. Gli ostacoli alla formazione del nuovo partito sono di natura politica, riguardano la difficoltà a stabilirne il perimetro e capirne l’identità”.Ma un sistema maggioritario, continua Guzzetta, aiuterebbe molto di più, sarebbe un incentivo verso questa direzione, perché correggerebbe alcuni difetti della legge proporzionale che favorisce invece la frammentazione e le rendite di posizione di numerosi partiti.
Un tema di cui si è iniziato a parlare in Italia da più di un decennio e che ancora non trova soluzione. “Prima del 1993 – spiega il prof. Guzzetta – il sistema politico italiano aveva due problemi evidenti: fortissima frammentazione e instabilità da un parte, e dall’altra mancanza di alternanza di governo. I referendum di quell’anno hanno favorito una soluzione a questo secondo aspetto, tanto che dal ’94 a oggi ogni elezione ha segnato un cambio di governo tra i due poli”.Ma quella spinta non ha affatto risolto l’altro problema, anzi, la legge elettorale attualmente in vigore lo ha peggiorato, accentuando una forte frammentazione partitica.
“Abbiamo ora una pluralità di partiti che conservano e coltivano gelosamente ciascuno la propria identità, che non riescono a creare fenomeni aggregativi significativi se non in rarissime e precarie eccezioni”, dice il professore e continua: “La vita politica dipende quindi da continui negoziati ed estenuanti mediazioni tra i partiti della medesima maggioranza.Vediamo così potenziato un meccanismo di conflittualità latente e di spinta verso la gelosa conservazione delle identità; un meccanismo che attribuisce a ciascun soggetto politico un potere di interdizione, una rendita di posizione. E aggiungiamo poi che la scomparsa di collegi uninominali, in cui ciascun elettore premiava o bocciava col voto un candidato, è affiancata dalla possibilità di candidature plurime, col risultato che un terzo del parlamento è determinato da chi è già stato eletto in più collegi”.
Proprio su questo punto la riforma promossa dal referendum interviene guardando a due obiettivi, dice Guzzetta: “da una parte costringere coloro che hanno intenzione di governare il Paese a comporre un’unica lista, un’aggregazione unitaria, il che significa aprire una prospettiva bipartitica per l’Italia; dall’altra parte il referendum colpisce le candidature plurime, stabilisce che chi si candida in una circoscrizione vince o perde, ma non può candidarsi contemporaneamente in altri luoghi, non solo per non mettere il paracadute alla rischio di non essere eletto, ma soprattutto per evitare che un candidato possa scegliere altri eletti della sua lista”.
L’idea dunque è quella di favorire la formazione di due poli distinti e compatti al loro interno, e allo stesso tempo di fare in modo che i voti che un candidato ha avuto, non vadano ridistribuiti in collegi diversi da quelli in cui lo stesso candidato è stato eletto.Questa la proposta, ma ci chiediamo perché mai non siano i partiti stessi a fare la riforma.“La legge elettorale ha una sua specificità: deve essere cambiata da coloro che ne beneficiano, cioè coloro che sono stati eletti” spiega Guzzetta. “In più, le maggioranze italiane ora sono frammentate e difficilmente trovano accordi su un tema simile che avrebbe, anzi, bisogno di un consenso parlamentare più ampio delle sole forze di governo: tutti questi fattori messi insieme portano a un’insufficienza di vedute condivise sulla riforma elettorale”. “Se il Parlamento riesce a produrre una riforma ben venga – aggiunge il professore - noi intanto proponiamo il referendum”.
Un referendum abrogativo, come tanti ce ne sono stati Italia senza produrre un risultato definitivo. Pensiamo al successo dell’uninominale al Senato, o anche all’abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, entrambi poi di fatto annullati da scelte parlamentari successive.“Ovviamente il referendum è aggirabile – ammette Guzzetta – le norme sono necessarie, ma non sufficienti. Però bisogna notare che se anche il maggioritario votato dagli italiani è stato aggirato, è pur vero che si è prodotta fino ad oggi, pur nella sua imperfezione, una bipolarizzazione della politica. In secondo luogo, dal referendum del ’93 fino ad oggi gli elettori sono maturati, hanno interiorizzato il maggioritario e chiedono due poli in competizione, per poi premiare con il voto chi è stato più bravo ad aggregare forze diverse con una certa coerenza. La riforma che proponiamo non vuole far altro che incentivare le spinte all’aggregazione”.I prossimi passi? “Mantenere viva una convergenza trasversale sulla necessità della riforma, che non oppone la destra alla sinistra, ma piuttosto una spinta modernizzatrice a una tendenza conservatrice. Poi far nascere un comitato – conclude il professore – per presentare alla Cassazione il quesito referendario e iniziare la raccolta delle firme”.

giovedì, settembre 28, 2006

Gentiloni: «Per Tim serve una soluzione nazionale»

Gentiloni: «Per Tim serve una soluzione nazionale»
Massimo Mucchetti Corriere della Sera 13-09-2006

Marco Tronchetti Provera ha spiegato al consiglio di Telecom Italia che la fine anticipata della convergenza tra telecomunicazioni fisse e mobili è dovuta alle pressioni dell'Autorità per le Comunicazioni e alla linea del governo. All'Agcom invece considerano gli interventi a carico dell'ex monopolio in linea con la prassi europea.

Ministro Gentiloni, chi ha ragione: Tronchetti o l'Agcom? «Non credo proprio che un Governo o un'Authority possano ostacolare un processo come la convergenza. Tanto meno in un contesto regolatorio come quello italiano, fortemente ancorato alle direttive europee. L'incumbent ha spesso considerato l'Agcom troppo severa, i concorrenti troppo poco».
Dunque non è "colpa" dell'Autorità di Corrado Calabrò. «Non mi sembra. D'altra parte, il governo non è stato informato preventivamente del riassetto societario».
Ma Tronchetti Provera ha reso più di una visita. «E' vero. Telecom, di sua iniziativa, apprezzabile ma non obbligatoria, ha dato frequenti notizie sui suoi progetti.L'ultimo incontro con il presidente Prodi risale a soli 9 giorni fa, a Cernobbio. Si è parlato dei contatti internazionali, di Murdoch, ma mai dello spin off delle rete e del mobile. Di qui la sorpresa del presidente Prodi».
La condivide? «Condivido la sorpresa e la preoccupazione. Siamo all'avvio di una grande evoluzione delle telecomunicazioni nel segno della convergenza e l'Italia non può esserne esclusa».Sarebbe a dire? «L'Italia ha uno dei mercati più importanti del mondo che ha consentito l'affermazione di aziende leader per organizzazione, tecniche di marketing, soluzioni tecnologiche. Le nostre imprese di telefonia mobile che fanno parte di gruppi internazionali sono all'avanguardia e vengono prese a modello dalle altre. Troverei grave che il sistema industriale italiano finisse con l'essere fuori».Teme allora che Tim vada agli stranieri? «Il dottor Tronchetti ha detto che la nuova società sarà controllata al 100% da Telecom Italia».Ma questo riassetto sembra la premessa di una cessione. «Per questo intendiamo vedere la conclusione della manovra societaria e i progetti futuri prima di esprimere un giudizio compiuto».Il suo collega Pecoraro Scanio esorta il governo a usare la golden share per fermare lo spezzatino del gruppo Telecom Italia. Rifondazione pure. «In questo stadio parlare dei poteri speciali del ministero dell'Economia è imprudente, in qualunque senso lo si faccia».Non ho capito: se Tim andasse all'estero le sarebbe indifferente? «Tutto il contrario. Credo che il sistema industriale italiano, ove alla vendita si arrivasse, dovrebbe trovare una soluzione nazionale».Come vede l'intervento della Cassa depositi e prestiti nella società della rete d'accesso? «Sono favorevole a delineare i confini dell'interesse pubblico, molto meno all'interventismo pubblico nell'economia».Ma come valuta la costituzione della società della rete d'accesso? «Può elevare il tasso di concorrenza. Tutti gli operatori avrebbero un fornitore di servizi terzo e non l'incumbent…».Terzo vuol dire quotato in Borsa oppure venduto a terzi? «Il dottor Tronchetti Provera ha detto che sarà controllato al 100% da Telecom Italia. Bisognerà dunque vedere il progetto concreto. Ci sarà tempo. In Gran Bretagna, il negoziato tra Ofcom e British Telecom, che aveva per oggetto molto meno, non si è risolto in due nottate. Anche in Italia sarà l'incontro di due intenzioni».La nuova Telecom intende diventare una media company… «Già oggi Telecom ha una tv ed è azionista di Rcs».Azionista di Rcs è Pirelli. E questa ha potuto arrotondare la sua partecipazione solo dimostrando all'Agcom che non controlla Telecom Italia Media.. «La legge, infatti, vieta la cross ownership tra quotidiani e televisioni fino al 2009: è uno dei pochi risultati positivi ottenuti dall'opposizione, con il voto favorevole dell'Udc, nella discussione parlamentare sulla legge Gasparri: chi ha la tv non può possedere giornali».Secondo la Gasparri nessuno può detenere più del 20% del sistema integrato delle comunicazioni. Un tetto antitrust che per le società di telecomunicazioni scende al 10%. Modificherete questi limiti? «L'esperienza di due anni ci dice che sono risultati inefficaci. Alla loro ombra sono prosperate le posizioni dominanti, prima di tutto la posizione dominante congiunta Rai-Mediaset. Non credo al doppio regime tra le telecomunicazioni e il resto del mondo…».E' uno spiraglio per Telecom? «Né spiragli né chiusure. Ma i limiti saranno più stringenti».

Telecom Italia - Pirelli, Benetton e un’Olimpia in cerca di capitali


Massimo Mucchetti: Pirelli, Benetton e un’Olimpia in cerca di capitali
Tratto da “Corriere della Sera”, 17 settembre 2006
Per capire le dimissioni di Marco Tronchetti Provera conviene guardare, più che alle polemiche con il governo, alle posizioni dei Benetton, partner di Pirelli in Olimpia, la scatola che contiene il 18% di Telecom Italia. Due anni fa i Benetton subirono la fusione Telecom-Tim. Per recuperare la perdita già allora enorme sull’investimento comune nelle telecomunicazioni, a loro avviso sarebbe stato meglio scegliere tra due opzioni: ricapitalizzare Olimpia anche con nuovi soci e affidare la gestione di Telecom a un management distinto dalla proprietà oppure vendere Tim e la rete di accesso per fare cassa. Alla fine, Tronchetti ha imboccato la seconda strada, quella del break up, che avrebbe salvaguardato il ruolo suo e di Pirelli. Ma la tripartizione del gruppo non esprime un disegno imprenditoriale al momento convincente, non potendo dirsi tale l’idea di trasformare Telecom in media company: oggi i ricavi mediatici sono meno dell’1% e potrebbero salire in tempi ragionevoli non certo attraverso la trasmissione di contenuti altrui, ma attraverso acquisizioni e fusioni con tv e case editrici, ardua impresa visto che la legge Gasparri chiude le porte delle varie Mediaset ed Rcs, ammesso e non concesso che qualcuno, da dentro, le voglia aprire. Lo spezzatino, d’altra parte, appare una ben deludente conclusione della madre di tutte le privatizzazioni. E qui si apre il problema di interesse generale. Avendo reso contendibile un gruppo con pochi debiti e molto cash flow, l’Ulivo offrì su un piatto d’argento una preda a chi poteva comprarsela a debito: il primo a capire l’opportunità fu Colaninno; il secondo che cercò di approfittarne è stato Tronchetti, ma ormai la bolla delle telecomunicazioni si andava sgonfiando. Colaninno lasciò Telecom con 41 miliardi di debiti, Tronchetti la lascia con un’esposizione uguale dopo aver venduto una quantità di asset: un’esposizione alla quale concorrono 19 miliardi derivanti dalle Opa parziali di Olivetti su Telecom e di Telecom su Tim che servivano solo a non diluire le posizioni del tandem Pirelli-Benetton. Constatati limiti e responsabilità politiche e culturali, pubbliche e private di quell’esperienza, nessun governo potrebbe essere soddisfatto se l’esito della partita fosse l’ingresso in Tim di nuovi padroni indebitati quanto il precedente e la cessione della rete d’accesso per esigenze di bilancio dei soci di riferimento dell’ex monopolio. Sui debiti, peraltro, sarebbe bene evitare demagogie. Il debito di Telecom o quello della Tim scorporata hanno l’effetto di tarpare le ali alle aziende, non di ucciderle. Con una proprietà meno debole e concentrata si potrebbe ridurre rapidamente. I problemi, dunque, stanno altrove: in Olimpia e Pirelli. Mentre i Benetton hanno già svalutato l’investimento in Telecom, Pirelli lo deve ancora fare. Ma la fine del 2006 si avvicina. Senza contromisure, un simile passo avrebbe un impatto rilevante sui conti e non faciliterebbe la raccolta delle risorse per far fronte ai pagamenti della Pirelli, tra i quali spicca il rimborso dei bond senza rating (500 milioni ad aprile e altrettanti nel 2008). Smontare Telecom per portare un po’di cassa verso Pirelli è soluzione con evidenti vantaggi padronali; varare un aumento di capitale in Olimpia, aperto se del caso ad altri soci, che dia le risorse per fare altrettanto in Telecom, potrebbe risolvere molti problemi, anche in Pirelli. Ne verrebbe rilanciato l’intero gruppo e si lascerebbe tempo e modo alla regolazione di fare il suo corso senza scambi impropri con l’incumbent, magari consigliati dall’alto. Il governo ha commesso gaffe imbarazzanti, ma se i capitalisti non sanno decidere si crea un vuoto che qualcuno in qualche modo colmerà. Con la consulenza tecnica di Miraquota

venerdì, settembre 22, 2006

la paura del fututro

20 Settembre 2006
Orvieto e la paura del fututro
Commento di Stefano Ceccanti, da "L'Unità"
Il manifesto di Romano Prodi, pubblicato ieri su questo giornale, punta sul prossimo convegno di Orvieto per aprire in modo stringente la fase costituente vera e propria del Partito Democratico. È un passaggio importante perché senza un calendario chiaro non si attraggono energie nuove, come quelle del «popolo delle primarie». Per di più si infonde negli iscritti di Ds e Margherita la sindrome descritta nella Bibbia nel libro dei Numeri, quando il popolo ebraico nel lungo cammino verso la terra promessa rimpiangeva le cipolle d’Egitto, le piccole certezze del passato perché il futuro appariva incerto e indistinto.Il manifesto di Prodi è anche la migliore risposta all’obiezione principale formulata ieri sul Riformista da Emanuele Macaluso: proprio chi denuncia oggi la relativa solitudine rispetto ai partiti del presidente del Consiglio e del suo staff dovrebbe vedere in quel progetto di allargamento della partecipazione il suo massimo antidoto.Non è il progetto di dare una base a una dirigenza predeterminata, già insediata dal governo, ma al contrario è quello di costruire un moderno governo di partito e non a caso il manifesto di Prodi richiama logicamente anche il tema della riforma elettorale, che gli è coessenziale. Richiamare le primarie significa ricondurre le decisioni future più importanti, a cominciare da quella posta da Macaluso (un «leader espresso da un grande partito come frutto di una battaglia politica») alla base più ampia possibile e alla logica «un uomo un voto» che dovrà essere il pilastro del Pd. Su quel pilastro si potranno poi fondare le architetture organizzative più complesse, che tengano conto anzitutto delle specificità regionali e locali, ma senza di esso nessuna costruzione innovativa può realmente radicarsi. Il manifesto ha anche l’onesto politica e intellettuale di affermare che «in tutte le obiezioni che vengono mosse al progetto di Pd vi è qualcosa di vero», pur precisando che ciò non può portare alla paralisi. Macaluso rilancia ieri le due più frequenti: la collocazione internazionale e la laicità. Entrambe vere, entrambe superabili. La prima sarà affrontata democraticamente subito dopo che il Pd sarà costituito. Quando verrà affrontata non come un alibi per bloccare il processo, ma con la forza quantitativa e qualitativa del nuovo partito non si potrà che osservare che in Europa la gran parte delle forze plurali di centrosinistra si denomina socialista e si troverà il modo di stabilire con quei partiti un rapporto organico che possa costituire un ponte anche verso i non socialisti. Quanto poi alla laicità, è sufficiente che laici e cattolici ascoltino le domande reciproche e si pongano in uno spirito non pregiudiziale. Sul versante «laico» il dibattito, con qualche tono sovraeccitato di troppo, che si è aperto intorno alla relazione Rodotà durante e dopo il recente convegno dei gruppi ha consentito di distinguere il dovere di riconoscere anche nel nostro ordinamento diritti sin qui negati, anche se affermati in documenti europei e internazionali a cui l’Italia ha dato il proprio consenso, e le modalità concrete, che debbono tener conto del nostro contesto storico-culturale. Non c’è un unico modo di riconoscere i diritti; né «come» farlo vanno tenute adeguatamente presenti tutte le istanze, comprese quelle delle confessioni religiose. Non è certo un caso se in molti e delicati punti la carta dei diritti di Nizza rinvia alle responsabilità dei legislatori nazionali e se la Corte di Strasburgo ha sempre tenuto in gran conto il «margine di apprezzamento» dei singoli Stati. Non avrebbe quindi senso presentare i nuovi diritti come degli stampi preconfezionati, a cui adeguarsi passivamente, rigettando come irrilevante e incompatibile qualsiasi obiezione.Sul versante «cattolico» è evidente che l’autorità religiosa può liberamente esprimere le proprie valutazioni sull’individuazione di «principi non negoziabili», sulla coerenza tra tali principi e le concrete scelte legislative. È però altrettanto evidente che almeno i cattolici che sono per libera scelta impegnati a costruire il Pd considerano tuttora pienamente valida la costituzione del Concilio Vaticano II «gaudium et spes» e in particolare il suo paragrafo 43b: «Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero». Queste consapevolezze non dissolvono i problemi con una bacchetta magica, ma consentono di trovare le soluzioni necessarie ed opportune. Per altro senza il Pd avremmo i medesimi problemi e saremmo chiamati a risolverli con strumenti molto più deboli e meno adeguati. La nostalgia delle cipolle d’Egitto è comprensibile, ma non è mai stata feconda.

Partito democratico: ecco il mio manifesto politico


19 Settembre 2006
Partito democratico: ecco il mio manifesto politico
Riportiamo il testo della lettera inviata dal presidente del Consiglio ai gruppi dirigenti e ai parlamentari di Ds e Margherita, e alle associazioni impegnate nella costruzione del partito democratico - da "L'Unità"Care amiche, cari amici, con questa lettera desidero invitarvi a partecipare al Seminario sulla costruzione del Partito Democratico, che si terrà ad Orvieto il 6-7 ottobre prossimi. L'incontro è promosso da me quale Presidente dell'Ulivo, di intesa con i massimi dirigenti di Ds e Margherita, i soggetti che, insieme, hanno presentato le liste unitarie per la Camera dei Deputati alle scorse elezioni politiche. Questa iniziativa nasce da una discussione approfondita e risponde ad una esigenza posta da milioni e milioni di cittadini che ci hanno sostenuto e che ci sostengono. Con il Seminario di Orvieto vogliamo realizzare un incontro fecondo e libero tra i rappresentanti di partiti, associazioni, movimenti e personalità interessati a trasformare l'Ulivo da alleanza elettorale a soggetto politico che unisca tutti i democratici. A questo Seminario, daranno un contributo fondamentale i professori Pietro Scoppola, Roberto Gualtieri e Salvatore Vassallo, che ringrazio fin d'ora per essersi assunti l'incarico gravoso ma decisivo di introdurre i lavori con relazioni impegnative e basilari. Da più di dieci anni - cioè da quando ho deciso di partecipare attivamente alla vita politica - l'Ulivo è il centro ed è l'orizzonte del mio impegno. In questi lunghi anni ci sono stati successi e battute d'arresto. Nei momenti belli e in quelli meno belli ho cercato sempre di tenere ferma la rotta, convinto che il nostro Paese avesse bisogno di una grande forza democratica e progressista e che questa forza dovesse nascere dall'incontro delle tradizioni riformiste che hanno accompagnato la crescita culturale, sociale e civile del nostro popolo e hanno sostenuto attivamente quel processo storico che ha condotto le masse degli umili e dei diseredati, uniti dall'impegno nel lavoro e dal desiderio di una vita migliore e di una società più giusta per sé e i propri figli, a diventare protagonisti della vita pubblica e, anche attraverso i partiti che hanno dato loro voce e rappresentanza, parte fondamentale e costitutiva della Repubblica e dello Stato democratico. Oggi più che mai mi sento di ripetere quello che tante volte ho detto negli anni passati: non ci sono più ragioni perché le tradizioni riformiste dei socialisti, dei popolari e dei cattolici-democratici, dei liberaldemocratici e dei laico-repubblicani, divise dalla storia e dai contrasti ideologici del '900, continuino ad essere divise anche in un secolo nuovo, cominciato con qualche anticipo con la caduta del muro di Berlino. Le divisioni del passato non hanno dunque più ragione di esistere, ma è nel futuro che dobbiamo cercare le ragioni di una unità nuova e feconda. Queste ragioni oggi sono forti ed hanno il loro fondamento nella domanda di cambiamento del Paese che sale dalla nostra gente che si attende sia un orizzonte di crescita economica e sociale guidata da criteri di equità, di merito e di solidarietà che un quadro di stabilità di governo assicurato da un sistema politico bipolare trasparente e moderno.Offrire una risposta a questa domande è ciò che ci ha guidato nella elaborazione del programma di governo e nella costruzione della coalizione di centrosinistra - l'Unione - che abbiamo candidato con successo a guidare il paese. Le elezioni le abbiamo vinte. E certo oggi l'impegno nel Governo è di importanza fondamentale perché la realizzazione del programma dell'Unione - di cui l'Ulivo è tanta parte - a cui gli italiani hanno dato fiducia è la condizione di successo di ogni ulteriore iniziativa politica. Ora, mentre il Paese è unito nell'assunzione di responsabilità internazionali per la pace e il governo è impegnato nella definizione di una legge finanziaria che rilanci crescita e sviluppo, potremmo essere portati a dimenticare quanto sia stata dura e difficile la battaglia contro la destra e a sottovalutare l'impegno necessario a consolidare la coesione della coalizione e a portare a compimento il progetto dell'Ulivo.Non sono trascorsi ancora tre mesi dal referendum costituzionale che ha respinto la sciagurata riforma della Casa delle Libertà, chiudendo una stagione politica lunga e densa di appuntamenti elettorali vinti dal centrosinistra. E' ai successi della stagione appena conclusa che dobbiamo riallacciarci per dare sostanza e futuro al progetto del Partito Democratico. Il risultato delle elezioni politiche del 9-10 aprile ha premiato la proposta dell'Ulivo, che, insieme agli altri partiti dell'Unione, ha offerto al Paese un programma di governo affidabile, nel quale la maggioranza degli elettori ha riconosciuto le possibilità di rilancio dello sviluppo economico e sociale del paese in una cornice di giustizia ed equità per tutti i cittadini. Le successive elezioni amministrative hanno confermato la fiducia conquistata alle politiche, consolidando ed ampliando il radicamento dell'Ulivo e dei suoi rappresentanti nei comuni e nelle amministrazioni locali. La destra è all'opposizione. L'Ulivo - unito da un comune programma agli altri partiti dell'Unione - è al Governo. Dare al paese il Governo di cui ha bisogno è prioritario ed è l'impegno che abbiamo assunto con tutti gli italiani. Eppure la responsabilità che oggi avvertiamo non si esaurisce nell'esercizio del governo, ma si estende anche all'impegno a condurre in porto quel processo politico che, dopo anni di sforzi ed esperimenti, ha portato, anche attraverso le Primarie del 16 ottobre 2005, alla decisione di proporre la lista unica dell'Ulivo alla Camera dei Deputati e, quindi, riconoscendo il successo di questa proposta e le speranze sottese in questo successo, alla costituzione dei Gruppi Parlamentari dell'Ulivo in entrambe le Camere. Ho voluto brevemente ripercorrere le tappe del nostro cammino recente perché nulla di quanto abbiamo raggiunto era scontato, perché nulla di quanto abbiamo conseguito è assicurato per il futuro se non avremo la forza di proseguire sulla via delle riforme e dell'innovazione. È giunto il momento di formulare proposte ed assumere impegni per costituire quel grande soggetto democratico di cui l'Italia ha bisogno per dare stabilità al governo e per consolidare - anche attraverso gli opportuni aggiustamenti istituzionali e la modifica della legge elettorale - l'impianto bipolare del nostro sistema politico. L'Italia ha bisogno di un grande partito moderno che unisca tutti i democratici e che costituisca il baricentro politico e programmatico del campo riformatore e progressista. Taluni, dinanzi alle difficoltà dell'impresa, avanzano dubbi, nutrono incertezze, temono la fretta e mettono in guardia dalla effettiva possibilità di una sintesi di tradizioni e valori distinti. Altri mettono in guardia dal rischio verticistico e burocratico, immaginando un partito che si costituisca per sommatoria di Democratici di Sinistra e di Margherita, a cui pure viene riconosciuto da tutti - al di là delle critiche - un ruolo fondamentale nella promozione del nuovo partito. Altri ancora immaginano la nascita del nuovo partito come una palingenesi che dovrà azzerare le organizzazioni esistenti e sostituirle con un nuovo ordine che nasce da un nuovo inizio senza passato. In tutte le obiezioni che vengono mosse al progetto di Partito Democratico vi è qualcosa di vero. Ma noi dobbiamo tenere conto di tutti i dubbi e di tutte le obiezioni e non farci bloccare da nessuna di esse. Dobbiamo avere pazienza, ma dobbiamo anche procedere spediti. È quello che stiamo facendo - nell'Ulivo, nei Gruppi Parlamentari di Camera e Senato, nelle Regioni e nei Comuni - sforzandoci di immaginare la forma e il percorso da dare a un processo che trasformi l'alleanza elettorale dell'Ulivo in unità in un partito politico che sia nuovo e aperto. Sono persuaso che occorra innescare - e re-innescare - un processo che investa sul desiderio di discussione e sulla voglia di partecipazione della nostra gente, un processo che, per ampiezza e per profondità, si ispiri alla grande esperienza delle Primarie. Senza entusiasmo e senza passione non costruiremo il partito nuovo di cui abbiamo bisogno. Ci vuole fiducia e d ottimismo. Quando abbiamo deciso di svolgere le Primarie - la decisione fu presa nel giugno del 2005, dopo passaggi e confronti anche aspri - chi credeva che più di 4 milioni di cittadini vi avrebbero preso parte? In quella esperienza noi abbiamo costruito un incontro virtuoso tra organizzazione dei partiti ed elettori, abbiamo abbattuto barriere e costruito ponti. Abbiamo evitato che dicotomie negative quali base/vertice o partiti/società-civile costruissero finte polarità e finte alternative. Il Partito Democratico non potrà nascere che dall'incontro tra la responsabilità dei gruppi dirigenti (che sarà anche verifica degli stessi) e la voglia di partecipazione, di quello che, per semplicità, chiamo popolo delle Primarie. Dobbiamo immaginare un percorso in cui le scelte e le decisioni dei partiti (nei loro organi decisionali, fino ai congressi) si incontrino e convergano con una platea di soggetti più ampia e meno, o diversamente, strutturata. Avendo presente tutto quanto detto, penso quindi che noi dobbiamo iniziare a definire il progetto del Partito Democratico, ragionando su tre questioni: le ragioni storiche e politiche del nuovo partito; il suo profilo ideale e programmatico; la sua forma organizzativa e il processo costituente.Sono proprio questi i temi centrali del Seminario di Orvieto, che sarà una tappa fondamentale nella costruzione del Partito Democratico se offrirà l'occasione non solo per interrogarsi ma anche per dare forma e prospettiva alla discussione sulla carta fondativa del nuovo partito e sulla partecipazione larga e strutturata dei nostri sostenitori al processo costituente che, fino da ora, può darsi l'obiettivo del battesimo politico alle prossime elezioni europee. La complessità e le difficoltà di questo processo non devono spaventarci. Semmai devono spronarci. È in questo spirito che rinnovo l'invito a partecipare al nostro incontro di Orvieto, tappa di un viaggio lungo di cui ormai intravediamo il traguardo e che dobbiamo apprestarci a concludere.

mercoledì, settembre 13, 2006

Norme sulla democrazia interna dei partiti

Norme sulla democrazia interna dei partiti, sulla selezione delle candidature e sul finanziamento
2 Agosto 2002
XIV LEGISLATURACAMERA DEI DEPUTATI N. 598 PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa dei deputati CHIAROMONTE, GRIGNAFFINI, CENNAMO, SODA, ANGIONI,BENVENUTO, BOLOGNESI, CAPITELLI, CORDONI, GASPERONI, KESSLER,LUCIDI, LUMIA, MANCINI, MARIOTTI, OLIVIERI, PENNACCHI,PINOTTI, PISA, POLLASTRINI, QUARTIANI, ROTUNDO, SPINI,TIDEI

Norme sulla democrazia interna dei partiti, sullaselezione delle candidature e sul finanziamento
Presentata il 6 giugno 2001
XIV LEGISLATURAPROGETTO DI LEGGE - N. 598
Onorevoli Colleghi! - L'articolo 49 della Costituzione pone la questione del metodo democratico con il quale i partiti concorrono a determinare gli indirizzi della politica nazionale. La proposta di legge - che riprende in larga parte sia la proposta di legge Mancina e altri (atto Camera n. 5326, XIII legislatura), sia il disegno di legge Salvi e altri (atto Senato n. 3954, XIII legislatura), presentati nella legislatura scorsa rispettivamente alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica - si propone di dare attuazione al dettato costituzionale e di rendere democratico, appunto, il modo in cui i partiti concorrono a determinare gli indirizzi della politica nazionale. Negli anni che abbiamo alle spalle, l'attenzione e il dibattito pubblico si sono, pure se a fasi alterne, soffermati sulla crisi della politica e sulla difficoltà che i partiti incontravano nel funzionare da raccordo e da mediazione tra società e istituzioni. La stessa speranza che il passaggio a un sistema di elezione prevalentemente maggioritario producesse da sé un effetto di riordino e di rigenerazione del sistema partitico è stata in parte delusa. Infatti l'affermazione del bipolarismo - che per i cittadini e le cittadine italiani rappresenta, specie dopo l'ultima tornata elettorale, un punto di non ritorno -non ha impedito, né impedisce fenomeni di frammentazione e di degenerazione nel sistema politico. Né i risultati delle ultime consultazioni referendarie ed elettorali impediscono che permangano spinte proporzionalistiche, nonché dubbi, resistenze, incertezze sulla necessità che il nostro Paese approdi finalmente a un compiuto sistema bipolare. In questa caratteristica incompiutezza ed irresolutezza della transizione italiana si è soliti vedere un limite di natura costituzionale: l'invecchiamento della Costituzione del 1948 e l'incapacità delle forze politiche parlamentari, drammaticamente testimoniata dai ripetuti fallimenti delle apposite Commissioni bicamerali ad operare la revisione costituzionale resa necessaria dal mutamento degli assetti reali di potere. Tale diagnosi, senz'altro corretta, lascia però insondato il tema dell'inadeguatezza soggettiva dei partiti politici italiani, che si esprime anche nella mancata revisione costituzionale. La funzione dei partiti politici - contrariamente a quanto afferma la generica polemica antipartitocratica - è essenziale nell'evoluzione contemporanea delle moderne società pluraliste, purché regolata o autoregolata in forme autenticamente democratiche aperte al controllo dell'opinione pubblica se non della legge. E' quindi necessario proporre un nuovo patto tra partiti e cittadini, nel quale i partiti rinunciano a una parte del loro arbitrio, subordinandosi a regole certe e trasparenti, rendendo pubblici i loro statuti oltre che i loro bilanci. Il ragionamento sotteso è che la essenziale funzione democratica dei partiti non può essere semplicemente presunta, o peggio rivendicata con arroganza, ma richiede che i partiti siano effettivamente e autenticamente soggetti democratici. Sembra quindi che sia oggi opportuno riaprire la vexata quaestio della disciplina giuridica del partito politico, anche in considerazione del fatto che, dopo la classica discussione sul tema, quando solo la Germania aveva compiuto questa scelta con l'articolo 21 della legge fondamentale, e poi con la legge del 1967, altri Paesi europei, come la Spagna e il Portogallo, hanno deciso in questo senso.
E' ben noto che l'articolo 49 della Costituzione fa cenno alla libertà di associarsi in partiti e al "metodo democratico" della vita politica, ma non fa alcun riferimento alle forme della vita interna dei partiti. Dal dibattito che ebbe luogo in seno alla Costituente risulta che il problema fu posto, ma si scelse di non intervenire su questo aspetto, per il timore che si arrivassero a definire una indebita ingerenza e un pericoloso criterio di esclusione. Si ricordi, in particolare, l'emendamento Mortati che proponeva: "Tutti i cittadini hanno diritto di riunirsi liberamente in partiti che si uniformino al metodo democratico nell'organizzazione interna e nell'azione diretta alla determinazione della politica nazionale". Nella seduta del 22 maggio 1947, poi, l'onorevole Moro, se da una parte ribadì l'importanza di non porre limiti alle finalità perseguite dai partiti, per evitare il rischio di decisioni arbitrarie "sulla base del presunto carattere antidemocratico del loro programma", dall'altra, in accordo con Mortati, propose la costituzionalizzazione del vincolo democratico interno, sulla base della considerazione che se non vi è una base di democrazia interna, i partiti non potrebbero trasfondere un indirizzo democratico nell'ambito della vita politica del Paese.
La linea proposta dall'onorevole Moro è la stessa del Costituente spagnolo del 1978, che - pur rifacendosi in larga parte al modello della legge fondamentale di Bonn del 1949 - recepirà, nell'articolo 6, il solo vincolo interno per i partiti ("La loro struttura interna ed il loro funzionamento dovranno essere democratici"), e non il vincolo della "democraticità esterna" dei fini perseguiti, che a Bonn era stato inserito in polemica con il recente passato nazista e nel quadro anticomunista generato dalla guerra fredda. La proposta di Moro non fu tuttavia adottata dalla Costituente e il riferimento alla democrazia interna rimase assente dall'articolo 49 della Costituzione. Peraltro, non era previsto allora un finanziamento pubblico dei partiti, né qualunque controllo sui bilanci, anche per lo scambio di complicità tra chi era massicciamente finanziato dall'Unione sovietica e chi lo era, altrettanto massicciamente, dalla CIA o dai sindacati americani. La successiva sentenza della Corte costituzionale tedesca, che nel 1956 escluse dalla legalità il partito comunista, oltre a quello nazista, non fece che confermare le riserve e i timori.
Oggi le cose stanno in modo molto diverso. Anzitutto, non ci sono più partiti che non intendano darsi forme democratiche: il timore dell'esclusione ha perso ragione di esistere. Inoltre, la presenza di un finanziamento pubblico, molto contestato dall'opinione pubblica, ma insistentemente riproposto dal Parlamento (e senza dubbio con buone ragioni), mette in discussione la difesa ad oltranza della natura privatistica dell'associazione-partito. Considerazione ancora più importante, la cultura dei nostri tempi non ammette che ci siano luoghi separati e privati in cui si forma un potere che è poi destinato ad esercitarsi nelle istituzioni pubbliche.
Per cinquant'anni la discussione giuridica e politologica si è esercitata sul dilemma tra natura privata e funzione pubblica dei partiti. Due aspetti che sono ambedue contenuti nell'articolo 49 della Costituzione. Di certo, la "determinazione della politica nazionale", che è - attraverso il concorso con metodo democratico - la finalità del libero associarsi dei cittadini in partiti, è una funzione pubblica.
Essa può svolgersi in partiti non democratici? Nei termini del dibattito alla Costituente: può darsi metodo democratico nell'attività esterna dei partiti se essi non hanno una struttura democratica della loro vita interna? Ancora con altre parole: può darsi democrazia "dei" partiti senza democrazia "nei" partiti?"
Affinché i cittadini riescano davvero ad influenzare la politica nazionale, a concorrere a determinarla, occorre che le loro esigenze e le loro preferenze trovino una sede adeguata di ricezione e traduzione all'interno dei partiti. Il problema della democrazia nei partiti è, dunque, inesorabilmente insito nella formulazione dell'articolo 49 ed è comunque, prepotentemente esploso nel corso della pratica di competizione politica negli anni successivi e fino ad oggi" (G. Pasquino, articolo 49, in Commentario della Costituzione, Bologna 1992).
La presente proposta di legge si propone di rilanciare la funzione democratica dei partiti attraverso una disciplina giuridica che leghi la struttura democratica al finanziamento, senza tuttavia restringere la libertà di associazione politica prevista dall'articolo 49 della Costituzione e senza trasformare l'associazione-partito in organo dello Stato. Sviluppando quella posizione intermedia, tra l'ispirazione più privatistica e l'ispirazione più organicistica, che è riscontrabile già nell'articolo 49, essa intende non già proporre statuti-tipo, ma disciplinare "le condizioni minime del rispetto del principio del concorso e del metodo democratico", lasciando all'autonomia statutaria la definizione della struttura degli organi interni, i sistemi di elezione dei dirigenti, eccetera; ed inoltre regolamentare "quelle attività del partito che più direttamente incidono sul funzionamento delle istituzioni (...) attraverso la disciplina delle procedure interne per la scelta dei candidati" (cfr. P. Ridola, Partiti politici, in Enciclopedia del Diritto, Volume XXXII, Milano 1982).
Essa dunque non si propone di istituire un controllo sui fini dei partiti né sulla struttura sostanziale dei loro organi, ma propone un'esigenza di democrazia procedurale e di regole certe per la formazione di quella volontà politica che si esprime nell'azione esterna del partito. Con ciò non si pretende di ridefinire lo status giuridico dei partiti, ma semplicemente di legare il loro finanziamento, in ogni sua forma, ai requisiti democratici minimi così individuati. Si prevede perciò che gli statuti dei partiti siano resi pubblici secondo peculiari modalità e che il loro contenuto regolamenti gli essenziali aspetti del metodo democratico nella vita interna ai partiti. Non si tratta di una pubblicizzazione dei partiti, che sarebbe in contrasto con il diritto di associarsi liberamente che l'articolo 49 della Costituzione riconosce ai cittadini: i partiti restano infatti associazioni di diritto privato non riconosciute, ma sono tenuti, qualora intendano usufruire dei rimborsi e di ogni altra elargizione o beneficio normativi, ad adottare uno statuto conforme ai criteri legislativamente indicati.
L'altra innovazione che la proposta di legge introduce concerne la fissazione di regole per lo svolgimento di elezioni primarie. Non si tratta di obbligare partiti e coalizioni a scegliere questo metodo di selezione delle candidature, ma di incentivare, attraverso il finanziamento, tale scelta.
Infine, quella che presentiamo è una proposta di legge in sintonia con le iniziative volte a favorire la presenza femminile nella vita politica. Non solo perché tra i criteri che si indicano per gli statuti dei partiti sono previste norme volte a far sì che un sesso non prevalga sull'altro, ma perché è più facile che un sistema di selezione della classe dirigente fondato sul merito favorisca l'accesso delle donne alla politica. Negli altri ambiti della società è così. Negli altri ambiti della società, quando le regole sono chiare, sono tante le donne che vincono. Noi, con la proposta di legge, vogliamo avvicinare la politica al resto della società.
La presente proposta di legge interviene su tre profili, individuabili in base ai tre capi in cui si suddivide la legge.
Il capo I (articoli 1-3) stabilisce che i partiti devono avere statuti pubblici e ne indica i caratteri democratici che devono essere obbligatoriamente presenti.
In particolare, l'articolo 1 fa riferimento alla costituzione dei partiti politici.
L'articolo 2 riguarda tempi e modalità di approvazione e di pubblicazione dello statuto.
L'articolo 3 ha ad oggetto il contenuto minimo degli statuti per i partiti che intendono ottenere i benefìci previsti dalla legge e la ripartizione delle risorse finanziarie tra gli organi centrali del partito e le sue articolazioni territoriali, con possibilità di ricorso agli organi di garanzia.
Il capo II (articoli 4-9) disciplina la selezione della candidature, cioè la principale funzione svolta dai partiti nella loro qualità di organizzatori della democrazia, prevedendo la consultazione degli iscritti o - facoltativamente - le primarie tra gli elettori e le elettrici.
In particolare, l'articolo 4 norma le elezioni primarie assicurando piena parità agli aspiranti candidati. Per i partiti che scelgono di non promuovere le primarie è prevista la consultazione obbligatoria tra gli iscritti e iscritte, secondo modalità liberamente rimesse agli statuti dei partiti.
L'articolo 5 riguarda le modalità di svolgimento delle elezioni primarie e le condizioni per la loro validità.
L'articolo 6 ha ad oggetto la partecipazione alle elezioni primarie con particolare riferimento agli aventi diritto.
L'articolo 7 disciplina le modalità di presentazione delle candidature alle elezioni primarie.
L'articolo 8 stabilisce che gli statuti prevedano l'istituzione di un comitato di garanti che vigila sull'organizzazione e lo svolgimento delle elezioni primarie e procede alla definizione di una rosa di nomi. Prevede inoltre le modalità di costituzione dei seggi elettorali.
L'articolo 9 prevede l'applicabilità degli articoli 4, 5, 6 e 7 anche alle coalizioni che si presentano alle elezioni con propri candidati e candidate.
Il capo III (articoli 10-11), infine, interviene sul finanziamento.
L'articolo 10 introduce un incentivo per i partiti che scelgano di promuovere elezioni primarie, stabilendo un incremento del 10 per cento sulla quota di rimborso elettorale prevista dalla legge 3 giugno 1999, n. 157. Si propone, inoltre, un incremento - dal 5 al 10 per cento - della quota di finanziamento da destinare a iniziative volte alla partecipazione femminile alla politica.
L'articolo 11 riguarda la destinazione volontaria del 4 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, contestualmente alla dichiarazione dei redditi, ma su una scheda separata, e dunque anonima, al fine di garantire la riservatezza. Il 4 per mille viene devoluto non genericamente a tutti i partiti, ma a ciascun partito sulla base delle indicazioni pereferenziali effettuate dai contribuenti.
XIV LEGISLATURAPROGETTO DI LEGGE - N. 598Capo ISTATUTO
Art. 1.(Costituzione dei partiti politici).
1. I cittadini italiani e le persone straniere residenti in Italia possono liberamente associarsi in partiti politici ai sensi dell'articolo 49 della Costituzione.
Art. 2.(Statuto dei partiti).
1. I partiti politici approvano per atto pubblico, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, il proprio statuto, che è pubblicato, ai soli fini di pubblicità, nella Gazzetta Ufficiale. 2. Eventuali variazioni successive dello statuto sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale entro due mesi dalla loro approvazione. 3. La pubblicazione dello statuto ai sensi dei commi 1 e 2 è condizione per accedere a tutte le forme di finanziamento pubblico.
Art. 3.(Princìpi e criteri direttivi pergli statuti dei partiti).
1. I cittadini e le persone straniere residenti in Italia hanno diritto di chiedere l'iscrizione ad un partito politico e di avere risposta, entro tre mesi, dagli organi competenti previsti dallo statuto.
2. Lo statuto dei partiti indica:a) gli organi dirigenti, le loro competenze e le modalità della loro elezione da parte di un organo rappresentativo degli iscritti;b) le norme atte a evitare che un sesso prevalga sull'altro nella composizione degli organismi dirigenti, negli organi di garanzia, nelle candidature alle elezioni;c) la composizione e la procedura di convocazione dell'organo rappresentativo degli iscritti;d) le procedure richieste per l'approvazione degli atti che impegnano la linea politica del partito;e) le modalità di partecipazione delle minoranze alle strutture organizzative del partito, nonché alle risorse finanziarie di cui al comma 3;f) i casi e i motivi per cui può essere deciso lo scioglimento di un organo territoriale del partito, nonché le relative procedure di ricorso;g) i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia, precisando modalità che assicurino la loro indipendenza rispetto agli organi di direzione politica;h) le misure disciplinari che possono essere adottate nei confronti delle iscritte e degli iscritti, gli organi competenti ad assumerle e le procedure di ricorso da parte degli interessati;
i) le modalità di selezione delle candidature da presentare per il Parlamento europeo, il Parlamento nazionale, per i consigli regionali, provinciali e comunali, per le cariche di sindaco, di presidente della provincia e di presidente della regione, ai sensi dell'articolo 4.3. Le risorse finanziarie disponibili per l'attività politica sono ripartite in proporzione determinata tra gli organi centrali e le articolazioni territoriali del partito, garantendo il pluralismo interno e il rispetto della legge 3 giugno 1999, n. 157, come modificata dall'articolo 10 della presente legge.
Capo II SELEZIONE DELLE CANDIDATURE
Art. 4.(Elezioni primarie).
1. I partiti che intendano concorrere con la presentazione di proprie liste o candidati alle elezioni della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica o del Parlamento europeo possono promuovere elezioni primarie a scrutinio segreto tra elettori ed elettrici.
2. Gli statuti determinano i criteri per la ripartizione delle spese di organizzazione delle elezioni primarie tra le varie articolazioni territoriali.
3. Gli statuti dei partiti che organizzano le elezioni primarie assicurano piena parità di condizioni tra candidati e candidate
.4. Alle elezioni primarie si applicano le disposizioni in materia di propaganda e di spese elettorali.
5. Le spese sostenute dai candidati alle elezioni primarie non possono comunque superare il tetto di un quinto delle spese previste per la partecipazione alle elezioni di quel livello.
6. Nel caso in cui i partiti politici scelgano di non promuovere elezioni primarie, i relativi statuti prevedono forme alternative di consultazione tra iscritte e iscritti.
Art. 5.(Modalità di svolgimento delleelezioni primarie).
1. Entro il novantesimo giorno antecedente la scadenza del termine per la presentazione delle candidature, il legale rappresentante di un partito o di una coalizione di partiti può richiedere all'ufficio elettorale competente di far svolgere elezioni primarie per la selezione delle candidature alle elezioni politiche, amministrative e al Parlamento europeo.
2. L'ufficio elettorale competente stabilisce la data e le sedi in cui si svolgono le elezioni primarie, previo consenso del soggetto che ha formulato la richiesta di cui al comma 1, sentiti il prefetto e il sindaco del comune in cui si svolgono le elezioni stesse.
3. Le sedi di cui al comma 2 sono individuate tra quelle messe a disposizione dai partiti o, in mancanza, tra quelle delle amministrazioni pubbliche.
4. L'ufficio elettorale competente provvede a dare comunicazione ai cittadini della data di svolgimento delle elezioni primarie e delle sue modalità mediante affissioni pubbliche5. Le elezioni primarie si svolgono in un solo giorno, anche non festivo, compreso tra il sessantesimo e il trentesimo giorno antecedente il termine per la presentazione delle candidature di cui al comma 1.
Art. 6.(Partecipazione alle elezioni primarie).1. Hanno diritto di partecipare alla votazione nelle elezioni primarie gli elettori e le elettrici che risultano iscritti al partito che ha promosso le elezioni primarie stesse, nonché i cittadini e le cittadine che hanno destinato in favore del partito stesso il 4 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), ai sensi dell'articolo 11. Gli statuti dei partiti prevedono i casi in cui sono ammessi a partecipare alle elezioni primarie elettori ed elettrici che abbiano fatto richiesta di iscrizione al partito medesimo, anche se non ancora accettata dagli organi competenti.
2. Gli elettori e le elettrici che non possiedono i requisiti di cui al comma 1 possono comunque partecipare alla votazione nelle elezioni primarie, qualora ne facciano espressa richiesta agli organi competenti nei diversi partiti politici, a condizione che dimostrino di non essere iscritti a nessun altro movimento o partito politico. Gli statuti dei partiti prevedono tassativamente i casi in cui può essere negata la partecipazione di tali soggetti alle elezioni primarie.3. Gli statuti dei partiti possono porre come condizione per la partecipazione alle elezioni primarie il versamento di una somma da parte dell'elettore e dell'elettrice.
Art. 7.(Modalità di presentazione delle candidature alle elezioniprimarie).
1. Gli statuti dei partiti determinano le modalità generali di presentazione delle candidature.
2. Può presentare la propria candidatura alle elezioni primarie qualsiasi elettore o elettrice che possieda i requisiti di cui all'articolo 6, comma 1, e che risulti sostenuto da una lista di presentatori aventi i requisiti richiesti dagli statuti dei rispettivi partiti.
3. Con le modalità previste dai rispettivi statuti, le candidature alle elezioni primarie possono altresì essere sostenute da una o più strutture del partito presenti sul territorio interessato dalle consultazioni elettorali.4. Per ciascuna competizione è selezionato l'aspirante candidato o candidata che riporta il numero più alto di voti, purché alle primarie abbia partecipato almeno un terzo degli aventi diritto. In caso di rinuncia, impedimento o morte dell'aspirante selezionato o selezionata subentra il primo o la prima dei non eletti.5. In caso di presunte irregolarità, gli aspiranti candidati possono presentare ricorso al comitato dei garanti di cui all'articolo 8. Tempi e modalità di presentazione dei ricorsi sono determinati dallo statuto del partito che ha promosso le elezioni primarie.6. I partiti possono rifiutare, ove previsto nei rispettivi statuti, le candidature di elettori ed elettrici che risultino condannati per reati di corruzione, concussione e appartenenza ad associazioni di stampo mafioso.Art. 8.(Comitato dei garanti e costituzione del seggioelettorale).1. Gli statuti dei partiti prevedono l'istituzione di un comitato dei garanti, che ha il compito di vigilare sull'organizzazione e sullo svolgimento delle elezioni primarie.2. Il comitato dei garanti procede alla costituzione dei seggi elettorali, che possono essere localizzati in strutture ed edifici individuati dalle amministrazioni comunali.3. Il comitato dei garanti procede, altresì, alla definizione di una rosa di nomi di candidati e di candidate che è sottoposta alle elezioni primarie, secondo criteri determinati dagli statuti. Ciascun elettore e ciascuna elettrice ha il diritto di votare per un solo candidato tra i nomi che compongono la rosa.4. Il seggio elettorale è costituito da un numero dispari di componenti designati dai partiti richiedenti, salvo il presidente che è designato dall'ufficio elettorale competente. Il seggio elettorale è competente a effettuare lo spoglio e a decidere su tutte le questioni che insorgano durante lo svolgimento delle elezioni. In caso di parità, prevale il voto del presidente5. Lo scrutinio è effettuato pubblicamente dagli scrutatori designati, una volta concluse le operazioni di voto. Gli aspiranti candidati possono assistere allo scrutinio o nominare un proprio rappresentante.6. I risultati dello spoglio vengono trasmessi senza indugio all'ufficio elettorale competente insieme a una relazione del presidente del seggio circa la regolarità delle operazioni elettorali.7. L'ufficio elettorale competente decide in maniera definitiva su ogni ricorso relativo al regolare svolgimento delle elezioni primarie.Art. 9.(Norme sulle coalizioni).1. Gli articoli 4, 5, 6 e 7 si applicano anche alle coalizioni di partiti e movimenti politici che si presentano alle elezioni con propri candidati e candidate.2. Al fine di cui al comma 1 i partiti della coalizione adottano un apposito regolamento.Capo III.FINANZIAMENTO
Art. 10.(Modifica all'articolo 3 della legge 3 giugno 1999, n.157, e incentivi per le primarie).1. I partiti che scelgono di promuovere elezioni primarie hanno diritto a una maggiorazione del 10 per cento sulla quota di rimborso elettorale previsto dalla legge 3 giugno 1999, n. 157, come modificata dal presente articolo.2. Il comma 1 dell'articolo 3 della legge 3 giugno 1999, n. 157, è sostituito dal seguente:"1. Ogni partito o movimento politico destina una quota pari al 10 per cento dei rimborsi ricevuti per ciascuno dei fondi di cui ai commi 1 e 5 dell'articolo 1 ad iniziative volte alla partecipazione attiva delle donne alla politica".
Art. 11.(Finanziamento diretto dello Stato commisurato alle liberee volontarie indicazioni dei cittadini). 1. A decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascun contribuente, contestualmente alla dichiarazione annuale dei redditi, può destinare il 4 per mille dell'IRPEF ai partiti che hanno ricevuto il rimborso delle spese elettorali per le ultime elezioni della Camera dei deputati ai sensi della legge 3 giugno 1999, n. 157, come modificata dalla presente legge.2.
La destinazione volontaria del 4 per mille avviene contestualmente alla dichiarazione dei redditi, su una scheda separata e anonima, al fine di garantire il rispetto della riservatezza. La scheda contiene l'elenco dei partiti aventi diritto, ai sensi del comma
1. Il contribuente indica sulla scheda il partito cui intende destinare la quota dell'imposta.
3. L'importo versato ai sensi del comma 2 è devoluto ai singoli partiti in misura corrispondente alle indicazioni preferenziali effettuate dai contribuenti.
4. Con regolamento da adottare con decreto del Ministro delle finanze, entro due mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabiliti i criteri, i termini e le modalità per l'attuazione del presente articolo, assicurando la semplificazione degli adempimenti a carico dei contribuenti e il rispetto della loro riservatezza. Il regolamento detta altresì le necessarie disposizioni tecniche relative alla predisposizione della scheda di cui al comma 2.5. Il regolamento di cui al comma 4 è adottato previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, che si esprimono entro venti giorni dalla trasmissione al Parlamento del relativo schema.

Riforma dei partiti politici - disegno di legge Salvi-Villone

Il disegno di legge Salvi-Villone sulla Riforma dei partiti politici

E' stato presentato al Senato, e si segnala per le importanti questioni sollevate, il disegno di legge numero 42/AS recante
"Norme sul diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione".

Si legge, tra l'altro, che "Il complesso delle innovazioni che qui si propone parte dalla definizione di «metodo democratico» e dall’introduzione di una anagrafe certificata; si snoda attraverso l’apertura del procedimento di iscrizione, la garanzia di effettiva partecipazione dell’iscritto attraverso modalità del tutto nuove come il voto telematico, o antiche come il voto segreto; si perfeziona con la previsione di istituti di democrazia diretta come il recall degli organi esecutivi e il referendum; si completa con la previsione della giustiziabilità dei diritti dell’iscritto, che possono così trovare tutela presso un soggetto terzo ed imparziale.
Con questo si rovescia completamente la situazione in atto, in cui la riduzione oligarchica dei processi decisionali ha come effetti collaterali l’impermeabilità della linea politica nei confronti della base, la quale non possiede strumenti efficaci per influire su quella linea e la sostanziale intangibilità del gruppo dirigente, che dispone di tutti i mezzi utili per autoperpetuarsi." (dalla relazione al disegno di legge).
Di seguito, il testo del disegno di legge, preceduto dalla relazione di accompagnamento.. . . . . .Disegno di legge n. 42/AS presentato al Senato il 28 aprile 2006 d’iniziativa dei senatori Salvi e Villone
"Norme sul diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione"
. . . . . .
Onorevoli Senatori. – Da oltre un ventennio si discute nel nostro Paese di riforme istituzionali. La ragione si trova nella convinzione che la fragilità del nostro sistema politico sia data dalle regole che disciplinano le istituzioni. È in nome di questo che si è proceduto a innovazioni anche di grande portata. Dalla riforma dei regolamenti parlamentari nella seconda metà degli anni Ottanta, all’adozione del sistema elettorale maggioritario da ultimo abbandonato, all’introduzione dell’elezione diretta per sindaci, presidenti di provincia e di regione. Ed in nome di questo abbiamo assistito al mutamento tacito della forma di governo parlamentare prevista nella Costituzione. Tale non si può certo definire la forma di governo in cui l’esecutivo, attraverso un maxiemendamento composto di molte centinaia di commi, porti all’approvazione di una legge finanziaria mai discussa nella sede parlamentare, limitando il dibattito con un voto di fiducia e contingentando i tempi in poche ore. Eppure, se anche abbiamo oggi esecutivi durevoli, è del tutto chiaro che questo non si traduce in esecutivi capaci di governare con effettività. A tutti i livelli, sono evidenti i malesseri che colpiscono coalizioni tanto eterogenee da dover conciliare spesso l’inconciliabile o trovare la sintesi al livello più basso e consociativo.
Le assemblee rappresentative, infatti, sono prive di qualsiasi ruolo effettivo e la funzione della rappresentanza politica non trova più sedi e strumenti per essere esercitata con effettività. Al tempo stesso, è chiara l’incapacità del sistema politico di raccogliere con efficacia la domanda sociale, traducendola in sintesi praticabili. La politica è oggi debolissima, quale che sia la durata in carica dei governi. E sono eventi come quelli della Val di Susa, o le proteste popolari per i rifiuti, o i blocchi stradali e ferroviari per i motivi più disparati, dalle crisi agricole alle vicende di qualche squadra di calcio, a dimostrarlo al di là di ogni ragionevole dubbio.
La domanda di partecipazione esiste, ed è molto forte, come mostrano per altro verso vicende come quella delle primarie svolte dal centrosinistra per il candidato alla carica di primo ministro nel 2006. Ma tale domanda non viene in alcun modo raccolta. Nonostante tutte le innovazioni, l’esperienza di questi anni fa comprendere come la salute del sistema politico italiano sia a dir poco pessima. Probabilmente, gli elementi degenerativi prodotti, anche come effetto collaterale non voluto, dalle innovazioni adottate – come la creazione di un esercito di professionisti e semiprofessionisti della politica – hanno persino contribuito a peggiorarla. E dunque si può trarre da questa esperienza un suggerimento: è giunto il momento di intraprendere una strada nuova e diversa. Se intervenire sulle regole istituzionali non ha affatto rinsaldato la politica, bisogna guardare altrove e, precisamente, ai soggetti primari delle cui scelte e sui quali la politica vive: i partiti.
Una politica senza partiti non è possibile o desiderabile. Tutti possono vedere come non sia moderno e competitivo il Paese in cui la politica si traduce nel confronto diretto tra i comitati spontanei e la piazza, da un lato, e chi governa, dall’altro. Le forme stabili e organizzate sono elemento essenziale per un sistema politico efficiente, che è a sua volta elemento essenziale per la competitività del sistema-paese.Ma appunto i partiti sono oggi l’elemento di massima debolezza del sistema. In realtà, proprio le innovazioni introdotte hanno concorso in misura non marginale al loro indebolimento ed alla loro incapacità di riprendersi dopo il grande tracollo dei primi anni Novanta. Oggi non sfugge a nessuno la spinta alla frantumazione estrema per la convenienza di creare micro-partiti, la frammentazione territoriale al seguito di questo o quel potente locale, l’estrema torsione personalistica, la riduzione oligarchica dei processi decisionali, il sostanziale azzeramento della partecipazione democratica degli iscritti.
Essenzialmente, oggi i partiti non sono più un luogo di elaborazione politica e progettuale. Spesso, diventano sedi di trattativa e magari di spartizione dei benefits dell’azione di governo per i gruppi dirigenti. Si profila un partito come comitato elettorale di questo o quel candidato, come comitato di sostegno di questo o quel governante. Nulla potrebbe essere più lontano dal modello prescritto dall’articolo 49 della Costituzione. I partiti sono dunque il vero buco nero della politica italiana. Qui bisogna guardare per un intervento efficace, che non solo ridia vita all’idea del Costituente ma offra al Paese uno strumento necessario alla competitività di cui ha estremo bisogno. È dunque soprattutto nella debolezza dei partiti – piuttosto che in questa o quella opzione istituzionale – il dato strutturale che impedisce il rafforzamento del sistema politico italiano. Ed è nella torsione personalistica e nella riduzione oligarchica l’elemento che più di ogni altro ostacola nella attuale condizione politica una inversione di tendenza e l’avvio di un consolidamento.La risposta efficace alla crisi del sistema politico rimane allora affidata alla capacità di ripristinare una partecipazione democratica effettiva nei partiti. Si tratta di attuare l’indicazione dell’articolo 49 della Costituzione, che attribuisce ai «cittadini» la titolarità del diritto alla partecipazione politica attraverso i partiti.
È però evidente che non sarebbe utile ipotizzare un ritorno all’esperienza passata, che non troverebbe oggi le condizioni per un effettivo dispiegarsi. Dunque, pensare di rivitalizzare i partiti solo recuperando e ripristinando l’antica struttura che per lungo tempo ha costituito il cardine della partecipazione degli iscritti non si mostrerebbe una scommessa vincente.Bisogna invece pensare ad una diversa e moderna forma di partecipazione, che utilizzando gli strumenti oggi disponibili si affianchi alla tradizione offrendo agli iscritti nuove vie per pesare sulle determinazioni collettive. Per questo è necessaria una disciplina generale sui partiti, che definisca la strumentazione minima idonea a favorire l’avvio di un circuito virtuoso. Sono ben note le argomentazioni che per lungo tempo hanno indotto una sostanziale diffidenza verso l’adozione di una disciplina legislativa del partito politico. Si temeva, da un lato, per l’autonomia organizzativa e il libero dispiegarsi dell’iniziativa politica secondo la specificità di ciascun partito.
Si paventava, dall’altro, che la legge – pur sempre espressione di una maggioranza politica – potesse essere strumentalmente volta a danno di questo o quel partito. Tali argomenti non erano privi di sostanza, sembra tuttavia oggi che possano essere superati. Anzitutto è mutata la condizione politica generale, non esistendo più alcuna conventio ad excludendum che in ipotesi precluda a questo o quel partito l’accesso alle funzioni di governo.La proposta che qui si presenta si incardina su istituti che per una parte sono da tempo all’attenzione degli studiosi della politica, per altra parte costituiscono invece una novità di non marginale portata. Anzitutto, la premessa per un consolidamento dei partiti deve essere vista nel mutamento della natura giuridica degli stessi partiti. Fino ad ora, i partiti sono associazioni di fatto: un fondamento giuridico debole, al quale si sostituisce qui la natura di associazione giuridica riconosciuta dotata di personalità giuridica ai sensi dell’articolo 12 del codice civile.
Oggi tale scelta si rende anzitutto possibile perché il riconoscimento, e il conseguimento della personalità giuridica che ne deriva, non passa più – dopo le modifiche al codice civile apportate con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361 – attraverso una fase amministrativa. Dunque non vi è più da temere una intromissione di pubblici poteri, ovviamente assoggettabili all’influenza di una maggioranza politica, nella vita del partito.La linea seguita nel disegno di legge è di far riferimento in termini generali allo schema adottato dal codice civile, cui si fa rinvio per tutto quanto non espressamente disciplinato nella legge. Si poteva anche seguire un diversa ed opposta via, la costruzione cioè di una figura speciale di associazione politica, ma il rinvio alla nozione e disciplina civilistica della persona giuridica offre il vantaggio di rendere applicabile in buona parte la riflessione dottrinaria e la lettura giurisprudenziale relative alla disciplina codicistica.
Questa soluzione offre una maggiore solidità e stabilità alla soluzione giuridica dell’associazione-partito fin dalla sua nascita.Naturalmente, sulla disciplina generale si innestano norme che trovano ragione nella specificità del partito politico. In specie, la particolarità si riscontra anzitutto nel fatto che il partito è un’associazione chiamata a «partecipare con metodo democratico alla politica nazionale». Tale missione – che non entra ovviamente in alcun modo a definire nel diritto civile il modello associativo – non potrebbe essere pretermessa nel disegnare il regime giuridico applicabile.Non assume più alcun rilievo oggi l’antica querelle se il «metodo democratico» dovesse essere principio applicabile all’azione politica del partito ovvero anche alla sua organizzazione interna. Non esiste alcuna ragione oggi nel sistema politico italiano per la quale possa dubitarsi, in principio o in fatto, della piena applicabilità del principio anche all’organizzazione, ai procedimenti decisionali, alla selezione del gruppo dirigente.
Nulla si oppone alla più ampia lettura dell’articolo 49 della Costituzione, comunque da preferire per la lettera e lo spirito della Carta fondamentale. Ed è precisamente l’ampia lettura del «metodo democratico» che sostiene le principali scelte adottate nella proposta, fondate sul più ampio riconoscimento dei diritti degli iscritti, e si traduce nel forte riconoscimento di istituti partecipativi. I diritti dell’iscritto non si esauriscono nel prendere la tessera e partecipare occasionalmente a qualche tornata congressuale. Se l’iscritto vuole, si traducono nella possibilità concreta di incidere continuativamente sulle determinazioni adottate a tutti i livelli dal partito. Non potendosi pensare che una effettiva partecipazione si realizzi semplicemente richiamando e sostenendo legislativamente le tradizionali organizzazioni territoriali – sezioni, unità di base, unioni e simili – si è scelto un approccio diverso, che si impernia sull’anagrafe degli iscritti. Oltre a essere strumento di correttezza e trasparenza, col quale si pone fine al malcostume di tessere fatte sull’elenco telefonico, l’anagrafe diventa il perno della nuova e moderna qualità di iscritto. Ad essa infatti si lega la possibilità del voto telematico, che supera le ritualità della democrazia delegata di congressi periodici, magari governati da signori delle tessere, e di organismi pletorici ai quali spesso partecipa stancamente una piccola frazione degli aventi diritto.La previsione dell’anagrafe va letta insieme con le norme che aprono i procedimenti di iscrizione, rendendo impossibile il controllo del momento di rilascio della tessera come strumento di potere all’interno del partito. Non possono nascere signori delle tessere senza tale controllo. E la previsione di iscrizione e di pagamento della quota in via telematica, oltre che la giustiziabilità del rifiuto della tessera, riducono al minimo il rischio che tale controllo possa essere assunto da alcuno. Al fine della mobilità ed apertura del gruppo dirigente, nonché della flessibilità ed apertura alla base della definizione della linea politica, si indirizzano inoltre due istituti di democrazia diretta che il disegno di legge prevede come necessari: il recall e il referendum.Il recall si sostanzia nella possibilità di far decadere e contestualmente sostituire gli organi esecutivi monocratici o collegiali attraverso il voto diretto degli iscritti. Il ricorso al voto telematico, con garanzia di segretezza, può rendere il recall elemento di un effettivo sistema di checks and balances, concorrendo a definire il modello generale di governance del partito, in specie là dove quegli organi – e in particolare il segretario – siano eletti direttamente.Il referendum – che si può sempre richiedere da parte di un numero determinato di iscritti – si prescrive come necessario per quanto riguarda il cambio del nome e del simbolo. Questo serve ad evitare forzature da parte di gruppi dirigenti tentati di imporre evoluzioni sulla cui condivisione da parte della base si possa dubitare. In tali contesti, la stessa misura del dissenso può essere elemento politicamente assai significativo. Anche qui assumono rilievo il voto telematico, la segretezza e – va sottolineato – la mancanza di un quorum di partecipazione degli aventi diritto ai fini della validità. Questo per non generare nei partiti una problematica simile a quella già evidenziatasi per il referendum abrogativo di cui all’articolo 75 della Costituzione. La mancanza di quorum rende per tutti inevitabile la scelta di partecipare attivamente alla votazione.È appena il caso di notare che istituti di ampia e non comprimibile partecipazione, la cui utilizzazione è rimessa essenzialmente alla volontà dell’iscritto, unitamente alla già richiamata apertura delle procedure di rilascio della tessera, sono oggi la migliore garanzia contro la tendenza a ridurre i partiti a comitati elettorali o comitati di sostegno di questo o quell’assessore, o presidente, o comunque del potente di turno.Un ultimo profilo si deve richiamare, come esempio di una innovazione incisiva, anch’essa in ultima analisi finalizzata alla partecipazione. Tale è l’ampio riconoscimento della giustiziabilità tramite ricorso al giudice per assicurare il rispetto della legge, dello statuto, delle delibere degli organi, e in ogni caso dei diritti dell’iscritto. Proprio perché essenzialmente tali diritti sono di partecipazione, la giustiziabilità diviene servente rispetto a tale finalità, e dunque garantisce il «metodo democratico» di cui all’articolo 49 della Costituzione.Il ricorso al giudice non rende inutili gli organi interni di garanzia. Ma è del tutto evidente oggi che l’autodichia non è più sufficiente ad assicurare correttezza e rispetto delle regole nella vita dei partiti. Comunque, il partito è titolare di funzioni di grande rilevanza pubblica, da esercitare nel rispetto di un principio costituzionale specificamente posto per il partito, qual è il «metodo democratico». Da ciò si trae una piena giustificazione per la più ampia giustiziabilità ad iniziativa dell’iscritto, anche nelle forme dell’urgenza.Il complesso delle innovazioni che qui si propone parte dunque dalla definizione di «metodo democratico» e dall’introduzione di una anagrafe certificata; si snoda attraverso l’apertura del procedimento di iscrizione, la garanzia di effettiva partecipazione dell’iscritto attraverso modalità del tutto nuove come il voto telematico, o antiche come il voto segreto; si perfeziona con la previsione di istituti di democrazia diretta come il recall degli organi esecutivi e il referendum; si completa con la previsione della giustiziabilità dei diritti dell’iscritto, che possono così trovare tutela presso un soggetto terzo ed imparziale. Con questo si rovescia completamente la situazione in atto, in cui la riduzione oligarchica dei processi decisionali ha come primo effetto collaterale l’impermeabilità della linea politica nei confronti della base, la quale non possiede strumenti efficaci per influire su quella linea. Come secondo effetto vi è la sostanziale intangibilità del gruppo dirigente, che dispone di tutti i mezzi utili per autoperpetuarsi.Si offre qui, invece, un modello di partito fondato sul principio della contendibilità della linea politica e del gruppo dirigente. Anche a tal fine sono previste norme a tutela della minoranza interna. Una corretta ed efficace contendibilità è oggi da vedere come strumento essenziale della modernizzazione della forma partito. L’aderenza alla domanda sociale, e la capacità di tradurla in sintesi politiche efficaci, passano attraverso la mobilità dei gruppi dirigenti e la possibilità che gli iscritti incidano effettivamente sulla definizione della linea politica. Un partito contendibile nella linea e nella leadership è un partito competitivo, che può porsi agli elettori e all’opinione pubblica del Paese come elemento di un sistema politico forte, in grado di fare fronte alle difficili sfide che attendono la democrazia italiana.Va infine notato che si è preferito non inserire in questo disegno di legge la disciplina del finanziamento pubblico dei partiti, che pure richiede una profonda e indilazionabile revisione, perché si ritiene preferibile che il tema sia affrontato in via autonoma rispetto alla normativa di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Vi è però un legame decisivo che trova la sua sede idonea nel presente disegno di legge, e che risiede nel principio per il quale la concreta attuazione del metodo democratico all’interno dei partiti è condizione inderogabile per l’accesso alle risorse pubbliche. Per questa ragione all’articolo 17 si prevede che in caso di mancata adozione di regole democratiche ovvero di violazione delle medesime, il partito perda il diritto al finanziamento pubblico, in misura totale o parziale (a seconda della gravità della violazione), attraverso la decisione dell’autorità giudiziaria, alla quale può rivolgersi chiunque vi abbia interesse, con «azione popolare».

. . . . . .DISEGNO DI LEGGE n. 42/AS

"Norme sul diritto dei cittadini di associarsi liberamente in partiti, in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione"

Titolo I NATURA GIURIDICA DEI PARTITI
Art. 1.(Definizione)
1. I partiti politici sono associazioni di uomini e di donne costituite al fine di concorrere a determinare la politica nazionale, regionale e locale, sulla base del più ampio metodo democratico e attraverso la partecipazione libera e continua dei cittadini alla vita pubblica.
Art. 2.(Natura giuridica)
1. I partiti politici sono associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica ai sensi dell’articolo 12 del codice civile e dell’articolo 1 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361.
2. All’atto della costituzione del partito, i soci fondatori depositano il nome, il simbolo, lo statuto e il progetto.
Titolo IIPRINCÌPI GENERALI
Art. 3.(Statuto)
1. Il partito ha uno statuto che ne definisce gli obiettivi, ne disciplina gli organi, i procedimenti deliberativi, le modalità di iscrizione, i diritti e i doveri degli iscritti, le garanzie e le sanzioni.
2. Lo statuto di cui al comma 1 è conforme alla presente legge, in ogni sua parte, e garantisce il metodo democratico ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione e dell’articolo 7 della presente legge. Può contenere norme integrative, purché compatibili con la presente legge e per quanto non espressamente in essa disposto.3. Lo statuto è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. La pubblicazione è condizione per accedere al rimborso delle spese elettorali previsto dalla legislazione vigente e ad ogni altra eventuale forma di accesso a risorse pubbliche.4. La violazione della legge da parte dello statuto e la violazione dello statuto da parte di iscritti o di organi del partito possono sempre essere impugnati davanti al giudice ai sensi dell’articolo 11.
Art. 4.(Simbolo)
1. Il partito ha un simbolo, che viene depositato all’atto della costituzione.
2. Il simbolo di cui al comma 1 deve essere identificativo in modo univoco del partito e non deve essere suscettibile di essere confuso con il simbolo di altri partiti.
Art. 5.(Progetto)
1. Il partito ha un progetto che ne definisce gli obiettivi politici, i valori ideali e il programma.
Art. 6.(Modifiche)
1. Lo statuto, il simbolo e il programma del partito possono essere modificati successivamente alla costituzione, secondo le modalità previste dallo statuto. In ogni caso, la competenza a deliberare le modifiche è attribuita all’assemblea generale degli iscritti.
2. La modifica del nome e del simbolo del partito possono essere assoggettati a referendum tra gli iscritti ai sensi del successivo articolo 7, comma 1, lettera r).
Art. 7.(Definizione di metodo democratico)
1. Ai fini della presente legge, elementi costitutivi del metodo democratico ai sensi dell’articolo 49 della Costituzione, che il partito deve osservare nello statuto e in ogni atto degli organi collegiali o monocratici, sono:
a) la titolarità per ciascun iscritto al partito degli stessi diritti e degli stessi doveri;b) la partecipazione di ciascun iscritto alla determinazione della linea politica ed all’attuazione della medesima, e il diritto di ciascun iscritto ad una piena e completa informazione ai fini di una partecipazione consapevole;c) la partecipazione di ciascun iscritto agli organi collegiali secondo le modalità previste dallo statuto, che le definisce perseguendo l’obiettivo di agevolare la più ampia partecipazione alle discussioni e votazioni;d) il diritto di parola, di proposta e di voto di ciascun iscritto negli organi collegiali di cui fa parte, nonché il diritto di presentare documenti, ordini del giorno, mozioni. Qualora lo statuto richieda un numero minimo di presentatori, tale numero non può essere superiore a quello degli esponenti della minoranza formalmente costituita più piccola presente nell’organo collegiale, non superiore comunque al 5 per cento dei componenti dell’organo collegiale. Sui documenti, ordini del giorno e mozioni presentati non possono essere rifiutate o impedite una adeguata discussione e la votazione qualora ne sia fatta richiesta dai presentatori;d) la partecipazione di ciascun iscritto alle votazioni con voto libero ed eguale nonché la effettiva segretezza del voto ove il voto segreto sia prescritto o richiesto;e) la segretezza del voto in ogni caso per la individuazione dei titolari delle cariche di partito e dei candidati alle elezioni nonché per le deliberazioni di modifica del nome o del simbolo del partito;f) la possibilità di votare in ogni caso anche per voto telematico. Ove il voto segreto sia prescritto o richiesto, la segretezza è garantita anche per tali modalità di votazione;g) la previsione di azioni volte al riequilibrio della rappresentanza in attuazione dell’articolo 51 della Costituzione, salvo il caso in cui la rappresentanza di un solo genere sia elemento fondativo del progetto politico del partito;h) la garanzia del pluralismo interno e la possibilità di un riconoscimento formale di minoranze;i) la presenza delle minoranze formalmente costituite in tutti gli organi collegiali e negli organi di garanzia, secondo il criterio proporzionale;l) l’attribuzione a esponenti delle minoranze formalmente costituite della presidenza degli organi di garanzia;m) l’attribuzione alle minoranze formalmente costituite di quote delle risorse pubbliche conferite al partito, in misura corrispondente alla consistenza delle minoranze medesime;n) la presenza delle minoranze formalmente costituite nelle candidature del partito nelle competizioni elettorali;o) l’effettivo rispetto dei quorum strutturali e funzionali per le delibere degli organi collegiali;p) la temporaneità delle cariche di partito e il numero limitato dei mandati nella medesima carica;q) la incompatibilità tra la partecipazione ad organi esecutivi del partito e la titolarità di cariche istituzionali e di funzioni amministrative;r) la previsione di un referendum generale tra gli iscritti, secondo le modalità previste dallo statuto, su richiesta di un numero di iscritti non inferiore al 5 per cento e non superiore al 10 per cento del totale degli iscritti. Il quesito referendario è definito dai richiedenti. Nel referendum è consentito il voto per via telematica, assicurando la segretezza ove prescritta o richiesta. Non può essere prescritto un quorum di partecipanti per la validità del voto;s) l’osservanza e l’attuazione del voto referendario come obbligo di tutti gli organi collegiali o monocratici del partito;t) la disciplina delle sanzioni secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità, assicurando in ogni caso un efficace contraddittorio. La manifestazione di voti o opinioni dissenzienti non può mai essere assunta a fondamento di sanzioni.
2. Costituiscono danno grave e irreparabile ai fini del ricorso di cui all’articolo 700 del codice di procedura civile la mancata convocazione secondo le modalità previste dallo statuto del partito alle riunioni di organi collegiali di cui l’iscritto faccia parte e ogni altro comportamento che ostacoli o impedisca l’effettiva partecipazione alle discussioni e votazioni.
Art. 8.(Definizione di iscritto)
1. Il diritto di iscrizione al partito si esercita presentando apposita domanda ai sensi del comma 2, previo pagamento di una quota annuale nella misura determinata ai sensi dello statuto, secondo le modalità in esso previste.
2. Lo statuto del partito prevede che l’iscrizione sia concessa su domanda presentata in forma scritta dall’interessato. La domanda di iscrizione contiene l’espressa adesione allo statuto ed al progetto del partito. La domanda è accettata o rigettata entro un tempo definito dallo statuto e comunque non superiore a sessanta giorni. Nel caso di silenzio protratto oltre tale termine la domanda si intende accolta.
3. Il rigetto può essere in ogni caso impugnato davanti agli organi di garanzia interni del partito. In deroga a quanto disposto dall’articolo 11, il ricorso al giudice avverso il rigetto della domanda di iscrizione è escluso. Il ricorso è invece consentito per il diniego rivolto all’iscritto che chieda il rinnovo dell’iscrizione per l’anno successivo.4. Lo statuto prevede la possibilità che la domanda di iscrizione e la corrispondente quota annuale siano inoltrate per via telematica. Nel caso di organizzazione territorialmente differenziata, lo statuto determina gli effetti ai fini della collocazione territoriale dell’iscrizione avvenuta per via telematica. L’iscritto per via telematica ha tutti i diritti e tutti i doveri di qualunque altro iscritto.5. Non è consentita l’adesione contemporanea a due partiti come definiti dalla presente legge.
Art. 9.(Diritti degli iscritti)
1. Lo statuto definisce i diritti degli iscritti, che comprendono in ogni caso tutti quelli desumibili dall’articolo 7.
Art. 10.(Doveri degli iscritti)
1. Lo statuto definisce i doveri degli iscritti, le sanzioni in caso di sua inosservanza, le procedure e gli organi competenti a irrogare le sanzioni.
2. La sanzione deve essere motivata e proporzionata alla gravità della violazione. In nessun caso la sanzione può essere irrogata senza previo adeguato contraddittorio.3. Contro la sanzione è sempre ammesso il ricorso al giudice.
Art. 11.(Tutela giurisdizionale)
1. È diritto irrinunciabile dell’iscritto ricorrere al giudice per ottenere rimedio alla violazione della presente legge, dello statuto, di delibere degli organi collegiali del partito, o avverso qualunque atto o comportamento che costituisca compressione, limitazione, violazione del metodo democratico come definito dall’articolo 7. Il diritto alla tutela giurisdizionale non può essere vietato o limitato dallo statuto né l’esercizio può costituire in alcun modo elemento a carico dell’iscritto, tale da limitare o ostacolare l’esercizio di altre facoltà o diritti di cui sia titolare in quanto iscritto.
Art. 12.(Anagrafe degli iscritti)
1. L’anagrafe degli iscritti è l’archivio comprendente, per ogni iscritto, l’indicazione del nome e cognome, della data di nascita, del luogo di residenza e del luogo di iscrizione al partito nel caso di organizzazione territorialmente differenziata.
2. L’anagrafe degli iscritti è aggiornata annualmente.3. L’inserimento nell’anagrafe degli iscritti è condizione per l’esercizio da parte dell’iscritto dei diritti previsti dalla presente legge e dallo statuto. All’atto dell’inserimento è attribuita ad ogni iscritto una chiave individuale per l’accesso telematico a servizi offerti dal partito e per l’esercizio, anche in via telematica, dei diritti pevisti dalla presente legge e dallo statuto.4. Ciascun iscritto ha diritto di accedere in qualunque momento a tutti i dati dell’anagrafe. Una quota di iscritti prevista dallo statuto, comunque in misura non inferiore al 5 per cento e non superiore al 20 per cento, può chiedere la revisione in tutto o in parte dell’anagrafe, per la inesattezza dei dati in essa contenuti.5. Entro il 31 gennaio di ogni anno è depositata presso le Presidenze della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica l’anagrafe degli iscritti di ciascun partito attestante gli iscritti al partito per l’anno precedente. Il deposito è condizione per il conferimento al partito di risorse pubbliche a qualunque titolo ed in qualunque forma per l’anno in corso. In caso di mancato deposito le somme eventualmente già percepite devono essere restituite.6. L’anagrafe degli iscritti è sottoposta a verifiche annuali a campione. Quando il totale dei dati affetti da errore superi il 10 per cento del totale dei dati sottoposti a verifica, si procede alla verifica completa dell’anagrafe. Se a seguito della verifica il totale degli errori supera il 10 per cento del totale dei dati inseriti nell’anagrafe, il deposito di cui al comma 5 si intende non effettuato.
Titolo IIIORGANIZZAZIONE
Art. 13.(Assemblea generale degli iscritti)
1. L’assemblea generale degli iscritti è l’organo rappresentativo del partito.
2. All’assemblea di cui al comma 1 partecipano tutti gli iscritti al partito, anche per voto telematico.3. Lo statuto del partito prevede che all’assemblea spettino in ogni caso le decisioni relative alla definizione della linea politica generale del partito, ai programmi elettorali, alle candidature, alla partecipazione a coalizioni, all’elezione degli organi esecutivi del partito.4. Le deliberazioni dell’assemblea sono valide con la presenza della metà più uno degli iscritti e sono normalmente assunte a maggioranza dei presenti. Lo statuto può prevedere in casi determinati che le deliberazioni siano assunte a maggioranza qualificata.5. L’assemblea delibera in via generale a voto palese. Una quota di iscritti determinata dallo statuto, in ogni caso non superiore al 10 per cento degli aventi diritto, può chiedere su qualsiasi oggetto il voto segreto. Il voto è comunque segreto per i casi previsti dall’articolo 7, comma 1, lettera e).6. Lo statuto del partito può prevedere che l’assemblea generale degli iscritti deleghi le sue funzioni ad un organo collegiale più ristretto, composto di delegati.7. Il voto telematico deve essere sempre consentito a richiesta. Lo statuto determina nel caso di organi collegiali composti da delegati il rapporto tra voto telematico e delega.
Art. 14.(Organi esecutivi)
1. Agli organi esecutivi spetta l’attuazione delle deliberazioni dell’assemblea generale degli iscritti.
2. Gli organi esecutivi collegiali sono eletti a voto segreto dall’assemblea generale degli iscritti. Se nel partito sono presenti minoranze formalmente costituite, l’assemblea delibera con voto limitato, in modo da assicurare una rappresentanza proporzionale delle minoranze negli organi esecutivi collegiali.
3. Alle deliberazioni degli organi collegiali si applicano le norme previste dall’articolo 13 per l’assemblea generale degli iscritti. In tal caso i diritti dell’iscritto si intendono riferiti al componente dell’organo collegiale.
4. La rappresentanza legale del partito spetta all’organo esecutivo monocratico. Tale organo è eletto a voto segreto secondo le modalità stabilite dallo statuto.5. Lo statuto prevede le modalità per la revoca degli organi esecutivi monocratico e collegiali da parte dell’assemblea generale degli iscritti. Alla revoca si procede su iniziativa di una quota di iscritti non inferiore al 10 per cento e non superiore al 20 per cento dei componenti dell’assemblea, per voto segreto, contestualmente eleggendo nuovi organi esecutivi collegiali e monocratico.
Art. 15.(Organi di garanzia)
1. Lo statuto prevede organi collegiali di garanzia cui è affidata la verifica del rispetto della presente legge, dello statuto e delle deliberazioni adottate nell’ambito delle proprie competenze dagli organi del partito. Nel caso di violazioni l’organo collegiale può annullare gli atti e irrogare, nei confronti degli iscritti, le sanzioni previste dallo statuto.
2. Lo statuto prevede le incompatibilità con la carica di componente degli organi collegiali di garanzia, tra le quali rientra la partecipazione agli organi collegiali esecutivi e la titolarità di cariche esecutive monocratiche nel partito, il percepimento di emolumenti a carico del partito, la titolarità di funzioni istituzionali o amministrative retribuite per le quali la designazione sia stata fatta dal partito.3. La previsione e le deliberazioni di organi di garanzia non limita in alcun modo il diritto di ciascun iscritto alla tutela giurisdizionale, di cui all’articolo 11.
Art. 16.(Organizzazione territoriale)
1. L’organizzazione interna del partito può essere articolata territorialmente secondo quanto stabilito dallo statuto.
2. La presente legge si applica anche alle articolazioni territoriali del partito, ove siano previste. È esclusa l’applicazione delle norme concernenti la costituzione del partito in associazione riconosciuta nonché di quelle relative all’anagrafe degli iscritti, che deve essere unica per tutto il partito.3. L’articolazione territoriale del partito non può in alcun caso essere limite o impedimento per i diritti dell’iscritto.4. Lo statuto disciplina tassativamente i casi, di particolare gravità, in cui si può procedere allo scioglimento, chiusura, sospensione e commissariamento di articolazioni territoriali del partito. Il provvedimento sanzionatorio è adottato in prima istanza previo contraddittorio dall’organo di garanzia del livello territoriale corrispondente e può essere impugnato presso gli organi di garanzia dei livelli territoriali superiori. Il provvedimento sanzionatorio non può essere adottato per la manifestazione di opinioni e di voti di dissenso politico e può sempre essere oggetto di ricorso davanti al giudice.
Art. 17.(Decadenza dal finanziamento pubblico)
1. Il rimborso delle spese elettorali e ogni forma di accesso alle risorse pubbliche, ivi comprese quelle a favore dell’editoria di partito, è attribuito esclusivamente alle associazioni che si qualificano come partiti ai sensi della presente legge.
2. Chiunque vi abbia interesse può agire in giudizio perché sia accertata la non conformità dello statuto di un partito alle norme della presente legge, inclusa la violazione dei princìpi di cui all’articolo 7. La sentenza definitiva dichiara la decadenza totale o parziale dal diritto del partito ai benefici di cui al comma 1.
Art. 18.(Norma transitoria e finale)
1. I partiti che alla data di entrata in vigore della presente legge abbiano rappresentanti eletti nel Parlamento nazionale o in almeno tre consigli regionali, acquistano dalla stessa data la natura di associazioni giuridicamente riconosciute ai sensi della presente legge. Essi adeguano i propri statuti e la propria organizzazione interna alle disposizioni della presente legge entro il termine inderogabile di un anno. Nel caso di mancato adeguamento entro il predetto termine, ogni conferimento di risorse pubbliche a qualsiasi titolo cessa a decorrere dal termine di cui al primo periodo.
2. Per i partiti di cui al comma 1, il nome, il simbolo e lo statuto già adottati alla data di entrata in vigore della presente legge sono equiparati a quelli depositati ai sensi dell’articolo 2.3. Per i partiti di cui al comma 1, il conferimento di risorse pubbliche in ogni forma è consentito in via transitoria fino alla scadenza del primo termine annuale per la presentazione dell’anagrafe degli iscritti, successivo all’adeguamento di cui al medesimo comma 1.4. Per tutti gli altri partiti, ogni conferimento di risorse pubbliche cessa alla data di entrata in vigore della presente legge. Il conferimento è ripreso previa costituzione in associazione giuridicamente riconosciuta secondo le modalità previste dalla presente legge e dal momento della presentazione dell’anagrafe degli iscritti.

martedì, settembre 12, 2006

L'Europa che guarda al Partito democratico


L'Europa che guarda al Partito democratico

Intervento di Luciano Vecchi, responsabile politica estera segreteria nazionale Ds

«L’Italia dell’Ulivo è la novità che sta facendo la differenza in Europa e nel mondo». «Faremo di tutto per sostenere la nascita e il rafforzamento del Partito democratico in Italia». Sono state queste le affermazioni che più abbiamo avuto modo di ascoltare, in queste settimane, e, da ultimo qualche giorno fa a Strasburgo, negli incontri che i Democratici di sinistra hanno avuto con esponenti dei partiti socialisti europei. Vi è certamente un grande interesse e apprezzamento tra le forze democratiche e progressiste del nostro continente, e in maniera particolare all’interno della famiglia socialista, nei confronti della nuova fase del nostro Paese, del governo Prodi, dell’originale esperienza politica che qui si sta compiendo. E’ per questi motivi, per conoscere più approfonditamente il processo che in Italia deve portare alla costruzione del Partito democratico, che il gruppo socialista al Parlamento europeo ha invitato, nei giorni scorsi, il Segretario dei Democratici di sinistra Piero Fassino ad intervenire alla assemblea plenaria del gruppo. Alcuni resoconti giornalistici e taluni commenti su quella visita e sui suoi esiti rischiano di dare una percezione non corrispondente alla realtà di quelle che sono invece una forte simpatia e un ampio consenso che sta suscitando nei partiti socialisti europei l’esperienza italiana. Siamo certamente soltanto nella fase iniziale di un confronto che è bene approfondire e che è destinato ad interagire con la realtà politica europea. Proprio per questo è di fondamentale importanza che, sin da ora, l’esperienza dell’Ulivo si confronti con la dimensione della politica a livello europeo e internazionale e che riesca a conquistare simpatia e consenso, a sviluppare alleanze e a partecipare pienamente al dibattito, alla riflessione e all’iniziativa anche al di là dei confini del nostro Paese. Mi pare quindi di grande rilevanza che, grazie all’iniziativa dei Democratici di sinistra, stia maturando nella famiglia socialista europea la consapevolezza che il processo di costruzione del Partito democratico possa rappresentare una grande opportunità. Così come abbiamo l’interesse e la volontà che l’Ulivo diventi sempre più la casa comune dei riformisti italiani, dove convergano percorsi e tradizioni diversi, uniti da valori, programmi e obiettivi comuni. Così si sta diffondendo la consapevolezza che dalla nostra esperienza italiana, del tutto peculiare, possa venire un contributo forte per allargare il campo delle forze progressiste nel nostro continente. Tutto ciò non pregiudica né predefinisce oggi caratteri, tappe e punti di arrivo di un percorso che in Italia deve essere condiviso e determinato da volontà comune. Sarebbe tuttavia sbagliato e rischierebbe di privarci di un’interlocuzione e di un ambito di lavoro essenziale, se non cogliessimo la disponibilità mostrata verso il Partito democratico da parte della più importante famiglia europea ed internazionale, che raccoglie gran parte dei partiti di centrosinistra e del riformismo democratico in Europa e nel mondo. D’altronde le forze che fanno parte dell’Ulivo, e la stessa azione di Romano Prodi come Presidente della Commissione Europea, si sono battute per ottenere il riconoscimento anche costituzionale della funzione dei partiti politici europei, come strumenti essenziali per favorire l’elaborazione politica, la partecipazione e la presa delle decisioni a livello dell’Unione Europea, andando al di là dei particolarismi nazionali. Il rapporto e l’interazione col PSE, a cominciare dalla dimensione del Parlamento Europeo, è quindi un tema essenziale per ogni forza riformista e progressista europea. Non si tratta quindi di porre una questione di “identità” o tanto meno di una astratta “scelta ideologica” quanto invece di non lasciare sfuggire una opportunità vitale per ogni grande forza riformatrice. PSE e Internazionale Socialista sono oggi organizzazioni plurali, che si sono nel corso degli anni ampliate, in cui convergono le esperienze più significative del riformismo europeo. La dinamica politica italiana deve trovare riscontro e capacità di azione, nella dimensione europea, anche attraverso un proficuo rapporto di sinergia e di dialettica con esse. Le sfide che abbiamo di fronte nel nostro continente, dal rilancio del processo costituzionale europeo alla affermazione del ruolo dell’Unione Europea come attore sulla scena internazionale, dalla qualità dello sviluppo economico e sociale alla capacità di governare i fenomeni migratori, dalla garanzia dell’accesso alle risorse energetiche allo sviluppo di nuove politiche di cooperazione internazionale, che richiedono di costruire una piena capacità di azione anche a livello europeo. Avremo modo di discutere e confrontarci su queste sfide che, per loro natura, sono complesse. Non è bene cominciare pronunciando dei “no”. Occorre invece intelligenza, tenacia e immaginazione per fare in modo che la forza e le potenzialità del riformismo italiano si collochino efficacemente al centro dei processi politici del nostro continente.
www.dsonline.it (11/09/2006)