venerdì, settembre 01, 2006

«Partito democratico? Non mollo»

PRODI ALLA FESTA DELL’UNITA’ DI PESARO RILANCIA IL NUOVO SOGGETTO: «SE IL GOVERNO VA BENE»
«Partito democratico? Non mollo»1/9/2006
di Fabio Martini

Sotto l'avveniristico capannone realizzato dai compagni di Pesaro c'è un certo pathos per l'arrivo di Romano Prodi e basta l'ingresso trafelato di tre fotografi per far scattare l'applauso dei cinquemila della festa dell'Unità. Ma non è ancora tempo di emozionarsi, devono andare in onda cinque spot su Iride Tv (la rete che trasmette in diretta il dibattito con Romano Prodi) e quando finalmente la pubblicità è finita, l'ingresso del presidente del Consiglio (affiancato da Piero Fassino) è accolto da un applauso scrosciante, prolungato, molto più caldo di quello scandito dalla platea dell'Udeur, due giorni fa a Telese. E Romano Prodi - intervistato dal direttore di Repubblica, Ezio Mauro - ha gratificato l'entusiasmo dei compagni di base con una raffica di battute a tutto campo. Prodi ce la farà a durare cinque anni? «Secondo te - ha detto il Professore a Mauro - sono robusto più oggi o due giorni dopo le elezioni?». Il partito democratico? «Se il governo va bene, è un collaudo per il nuovo partito, altrimenti è più difficile farlo». Il conflitto di interessi? «Questa legge doveva farla la destra, perché dovrebbe essere nel dna di una destra liberale». Ma quella italiana - ha detto Prodi con frase impegnativa - «non è una destra normale». Le nomine alla Rai? «Io non ho mosso un dito». Ma per via Mazzini il premier ha un piano? Risposta papale papale: «Si può rispondere "Non lo so"? Anche perché i conflitti tra drusi e maroniti sono niente rispetto ai conflitti dentro la Rai!». E poi due spruzzi di vetriolo: «In tutto il mese di agosto con quella crisi internazionale in corso, non è stata trasmessa una sola intervista al Presidente del Consiglio...». E quando torna la luce dopo un doppio black out in tutta la festa, Prodi si rivolge a Mauro: «Te l'avevo detto di non parlare di Rai...».Romano Prodi ha inaugurato ieri sera assieme a Piero Fassino la festa dell'Unità, una nobile un po' decaduta tra le kermesse di partito. Per decenni regina incontrastabile del dopo-ferie politico, la Festa dell'Unità resta un colosso inimitabile in termini di visitatori (quest'anno se ne prevede un milione) e di incassi, ma sul piano del glamour e dell' impatto mediatico ha molto perduto a favore della mastelliana festa di Telese (oramai la prima nel calendario di fine agosto) e della festa della Margherita, il cui cartellone è concentrato nella prima settimana di settembre, anziché in venti giorni. Ma per quanto un po' demodé, l'Unità resta la regina delle feste, quella nella quale si misura meglio che altrove «l'aria che tira» nella opinione pubblica di sinistra. E gli applausi della platea hanno finito per premiare le battute più sferzanti di Prodi. Ma con una vera sorpresa, forse la prima di queste feste di partito della ripresa: ogniqualvolta è stato nominato il partito democratico dalla platea dei militanti ed elettori sono partite ovazioni convinte, il segno che quel progetto oramai ha fatto breccia. Applausi diretti in particolare verso Piero Fassino, un segretario che ha stretto con la sua base un rapporto molto solido. Prodi ha esternato a tutto campo. Il rigore della Commissione europea sui conti italiani? «Stiano tranquilli che ci arriviamo sotto il tre per cento, ma avrei voluto avessero usato lo stesso rigore qualche mese fa con Francia e Germania», «la stessa che avevo chiesto quando ero a Bruxelles». E dopo pausa sapiente: «... ma fu l'Italia ad aiutarli e lasciamo stare perché». Il recuperato rapporto con gli Stati Uniti: «Alla lunga con l'America la sincerità paga». Il ritrovato protagonismo dell'Italia nel mondo? «La politica estera è più facile di quel che sembra: è fidarsi dell'intelocutore, della sua faccia, sapere che non ti tradirà». L'allargamento della maggioranza? «Non faccio la caccia ai transfughi, ma non mettiamo limiti alla Provvidenza, anche perché se si governa bene si attrae più che se si governa male». Il caso Telekom-Serbia? «Un castello di invenzioni e ora che i nostri accusatori sono sotto processo ne vedremo delle belle».

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