venerdì, settembre 22, 2006

la paura del fututro

20 Settembre 2006
Orvieto e la paura del fututro
Commento di Stefano Ceccanti, da "L'Unità"
Il manifesto di Romano Prodi, pubblicato ieri su questo giornale, punta sul prossimo convegno di Orvieto per aprire in modo stringente la fase costituente vera e propria del Partito Democratico. È un passaggio importante perché senza un calendario chiaro non si attraggono energie nuove, come quelle del «popolo delle primarie». Per di più si infonde negli iscritti di Ds e Margherita la sindrome descritta nella Bibbia nel libro dei Numeri, quando il popolo ebraico nel lungo cammino verso la terra promessa rimpiangeva le cipolle d’Egitto, le piccole certezze del passato perché il futuro appariva incerto e indistinto.Il manifesto di Prodi è anche la migliore risposta all’obiezione principale formulata ieri sul Riformista da Emanuele Macaluso: proprio chi denuncia oggi la relativa solitudine rispetto ai partiti del presidente del Consiglio e del suo staff dovrebbe vedere in quel progetto di allargamento della partecipazione il suo massimo antidoto.Non è il progetto di dare una base a una dirigenza predeterminata, già insediata dal governo, ma al contrario è quello di costruire un moderno governo di partito e non a caso il manifesto di Prodi richiama logicamente anche il tema della riforma elettorale, che gli è coessenziale. Richiamare le primarie significa ricondurre le decisioni future più importanti, a cominciare da quella posta da Macaluso (un «leader espresso da un grande partito come frutto di una battaglia politica») alla base più ampia possibile e alla logica «un uomo un voto» che dovrà essere il pilastro del Pd. Su quel pilastro si potranno poi fondare le architetture organizzative più complesse, che tengano conto anzitutto delle specificità regionali e locali, ma senza di esso nessuna costruzione innovativa può realmente radicarsi. Il manifesto ha anche l’onesto politica e intellettuale di affermare che «in tutte le obiezioni che vengono mosse al progetto di Pd vi è qualcosa di vero», pur precisando che ciò non può portare alla paralisi. Macaluso rilancia ieri le due più frequenti: la collocazione internazionale e la laicità. Entrambe vere, entrambe superabili. La prima sarà affrontata democraticamente subito dopo che il Pd sarà costituito. Quando verrà affrontata non come un alibi per bloccare il processo, ma con la forza quantitativa e qualitativa del nuovo partito non si potrà che osservare che in Europa la gran parte delle forze plurali di centrosinistra si denomina socialista e si troverà il modo di stabilire con quei partiti un rapporto organico che possa costituire un ponte anche verso i non socialisti. Quanto poi alla laicità, è sufficiente che laici e cattolici ascoltino le domande reciproche e si pongano in uno spirito non pregiudiziale. Sul versante «laico» il dibattito, con qualche tono sovraeccitato di troppo, che si è aperto intorno alla relazione Rodotà durante e dopo il recente convegno dei gruppi ha consentito di distinguere il dovere di riconoscere anche nel nostro ordinamento diritti sin qui negati, anche se affermati in documenti europei e internazionali a cui l’Italia ha dato il proprio consenso, e le modalità concrete, che debbono tener conto del nostro contesto storico-culturale. Non c’è un unico modo di riconoscere i diritti; né «come» farlo vanno tenute adeguatamente presenti tutte le istanze, comprese quelle delle confessioni religiose. Non è certo un caso se in molti e delicati punti la carta dei diritti di Nizza rinvia alle responsabilità dei legislatori nazionali e se la Corte di Strasburgo ha sempre tenuto in gran conto il «margine di apprezzamento» dei singoli Stati. Non avrebbe quindi senso presentare i nuovi diritti come degli stampi preconfezionati, a cui adeguarsi passivamente, rigettando come irrilevante e incompatibile qualsiasi obiezione.Sul versante «cattolico» è evidente che l’autorità religiosa può liberamente esprimere le proprie valutazioni sull’individuazione di «principi non negoziabili», sulla coerenza tra tali principi e le concrete scelte legislative. È però altrettanto evidente che almeno i cattolici che sono per libera scelta impegnati a costruire il Pd considerano tuttora pienamente valida la costituzione del Concilio Vaticano II «gaudium et spes» e in particolare il suo paragrafo 43b: «Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta o che proprio a questo li chiami la loro missione: assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero». Queste consapevolezze non dissolvono i problemi con una bacchetta magica, ma consentono di trovare le soluzioni necessarie ed opportune. Per altro senza il Pd avremmo i medesimi problemi e saremmo chiamati a risolverli con strumenti molto più deboli e meno adeguati. La nostalgia delle cipolle d’Egitto è comprensibile, ma non è mai stata feconda.

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